L’insostenibile incertezza del diritto
Con atto notificato il 15 luglio 1994 l’ufficio IVA di Potenza irroga a Paperino una sanzione pecuniaria di oltre 96 milioni di lire, pari al doppio delle somme non versate alle scadenze periodiche relativamente all’anno 1990.
Insorge Paperino, sostenendo di aver usufruito del condono tombale, e impugna l’atto davanti alla commissione tributaria provinciale di Potenza.
Resiste l’ufficio, sostenendo che Paperino non aveva titolo per giovarsi del condono.
La commissione tributaria provinciale, con sentenza del 12 febbraio 1997, accoglie parzialmente il ricorso, riducendo alla metà la sanzione irrogata.
La commissione tributaria regionale della Basilicata rigetta l’appello di Paperino con sentenza del 24 febbraio 1998.
Paperino non ci sta, e propone ricorso per cassazione.
Il suo avvocato, non si sa se al momento di iscrivere la causa a ruolo o in un momento successivo, deposita una copia del ricorso in più rispetto al numero di copie richiesto per l’iscrizione.
Quod abundat non vitiat, avrà pensato. E invece, per una volta, vitiat eccome.
Per ragioni misteriose, alla copia supplementare viene attribuito un diverso numero di protocollo, e da un unico ricorso nascono due procedimenti.
Il primo viene definito con sentenza n. 14608 del 10 ottobre 2003, che rigetta il ricorso.
Il secondo viene definito con sentenza n. 19600 del 7 ottobre 2005, che accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Basilicata, cui viene attribuito il compito di riesaminare la controversia nel merito.
La parte più interessante della storia termina qui, ed ha una morale che può essere riassunta così: il diritto è essenzialmente incerto. Puoi avere tutte le ragioni del mondo, ed essere difeso dal migliore avvocato del mondo, ma questo potrebbe non essere sufficiente per ottenere il riconoscimento della bontà delle tue ragioni. Devi sempre sperare che ti vada bene.
Con ricorso del 27 gennaio 2006 l’agenzia delle entrate (subentrata per legge all’ufficio IVA) chiede alla corte di cassazione la revocazione della seconda sentenza della medesima corte, in conseguenza del contrasto con la prima, ai sensi dell’articolo 395 n. 5) del codice di procedura civile (nella sentenza della corte che decide sul ricorso dell’agenzia delle entrate si parla più volte di codice di procedura penale: se una cosa decide di andare male, lo fa sino in fondo).
Sembrerebbe scontato (almeno ai profani) l’accoglimento di quest’ultimo ricorso, e invece la corte di cassazione lo dichiara inammissibile con sentenza delle sezioni unite n. 10867 del 30 aprile 2008.
Perché mai, direte voi? Perché il nostro diritto — dicono le sezioni unite — non prevede e non ha mai previsto la possibilità di revocare le sentenze di legittimità della corte di cassazione per contrasto con precedente giudicato tra le stesse parti. Sulle sentenze di mera legittimità della corte (cioè, su quelle che non pronunciano sul merito della controversia) si forma solo il giudicato in senso formale, ma non anche quello sostanziale, essendo estraneo all’oggetto di tali sentenze l’accertamento della situazione giuridica sostanziale, che invece è contenuto nelle pronunce di merito.
Il contrasto tra giudicati in senso sostanziale, conclude la corte, potrebbe insorgere solo nel giudizio di giudizio di rinvio conseguente alla cassazione disposta dalla seconda sentenza. E’ in quella sede che va eccepito il giudicato determinatosi con la prima sentenza. Se l’eccezione non fosse sollevata, ovvero se non fosse accolta, prevarrebbe il secondo giudicato eventualmente contrastante.