I figli sono pezzi di cuore (e portafogli)
Due coniugi campani adottano tre bambini provenienti dall’Est Europa.
Dopo un certo tempo il tribunale per i minorenni di Napoli dispone l’allontanamento dei bambini dal nucleo familiare e il loro collocamento presso una casa famiglia pubblica. Successivamente, con decreto del 29 novembre 1999, il medesimo tribunale apre la procedura di abbandono e sospende la potestà sui minori di entrambi i genitori adottivi. In sede penale questi ultimi sono giudicati responsabili di gravi condotte nei confronti dei figli adottivi.
Le spese per il collocamento dei bambini presso la casa famiglia sono anticipate dal Comune di Vattelapesca, che cita in giudizio i genitori adottivi per ottenere il rimborso di esse.
Con sentenza del 15 settembre 2004 il tribunale di Benevento, in accoglimento della domanda, condanna i coniugi al pagamento della somma di euro 48.033 oltre interessi e spese di lite.
Propongono appello i coniugi.
La corte di appello di Napoli accoglie l’impugnazione con sentenza del 4 maggio 2006, respingendo la domanda di rimborso del Comune.
La sentenza del giudice di appello è giustificata richiamando il provvedimento di sospensione della potestà genitoriale sui minori, la statuizione del tribunale per i minorenni che aveva imposto al Comune di corrispondere la retta alla casa famiglia nella quale erano stati collocati i minori e l’art. 25 del DPR 24 luglio 1977, che trasferisce ai Comuni tutte le funzioni amministrative relative all’organizzazione e alla erogazione dei servizi di assistenza e di beneficenza.
Il Comune di Vattelapesca propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi.
La corte di cassazione, con sentenza della prima sezione n. 22909 dell’11 novembre 2010, accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, respinge l’appello proposto dai coniugi contro la sentenza del tribunale di Benevento, la quale, in tal modo, passa in giudicato. Condanna altresì i coniugi alla rifusione delle spese di lite in favore del Comune per tutti i gradi del giudizio.
«E’ noto», afferma la corte, «che dal fatto della procreazione sorge in modo necessario un complesso di diritti e di doveri reciproci fra genitore e figlio fra cui appare qui fondamentale il dovere dei genitori, sancito dalcombinato disposto degli artt. 30 Costit., 147, 148 e 155 cod. civ., di mantenere ed educare i figli. E d’altra parte l’art. 27 legge 184/1983 dispone che “per effetto dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti”, e conseguentemente l’art. 48, 2° comma impone all’adottante l’obbligo di mantenere, istruire ed educare l’adottato, conformemente a quanto prescritto dall’articolo 147 del codice civile: perciò equiparando anche sotto questo profilo i suoi doveri a quelli del genitore naturale, e correlandoli esclusivamente allo status di genitore adottivo. È egualmente pacifico che l’obbligo di mantenimento dei genitori – tanto naturali quanto adottivi – verso i figli, di contenuto più ampio e comprensivo di quello alimentare, si sostanzia tanto nell’assistenza economica, quanto nell’assistenza morale di costoro (Cass. 6197/2005; 3974/2002); e non cessa per il raggiungimento della maggiore età da parte di essi, ovvero per altra causa, ma perdura – anche indipendentemente dalla loro età – fino a quando i figli non vengono avviati ad una professione, ad un’arte o ad un mestiere confacente alla loro inclinazione e preparazione e rispondente, per quanto possibile, alla condizione sociale della famiglia».
Ne consegue, secondo la corte, che «l’obbligo del mantenimento posto dalla menzionata normativa prescinde dalla potestà dei genitori e sopravvive ad essa in varie ipotesi, come dimostra quella, appena evidenziata, del figlio che abbia raggiunto la maggiore età; ovvero proprio le fattispecie di impedimento o di decadenza del genitore naturale o adottivo dalla suddetta potestà genitoriale (artt. 330 e 260 cod. civ.): in conformità del resto alla più moderna concezione dell’istituto che si concreta nell’attribuzione a quest’ultimo (o ad entrambi i genitori) non di un diritto soggettivo, bensì di un munus (di diritto privato) comportante un potere, nella sua più limitata accezione di potere-dovere, di curare determinati interessi privati e pubblici del minore. Sicché ove detto ufficio non venga di fatto esercitato, ovvero venga sospeso o addirittura revocato ex art. 330-333 cod. civ., la reazione dell’ordinamento è soltanto quella di porre rimedio all’anomalia, apprestando le opportune misure onde consentirne il regolare funzionamento; o, per converso, limitando oppure escludendo del tutto i poteri di rappresentanza nonché di amministrazione che lo stesso comporta».
Ciò trova conferma nella legge 4 maggio 1983 n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), l’articolo 5 della quale apporta una deroga all’obbligo del mantenimento da parte dei genitori nel solo caso di affidamento familiare, ponendolo a carico dell’affidatario; mentre l’articolo 50 «nell’ipotesi di cessazione della potestà da parte dell’adottante o degli adottanti, non dispone affatto il contestuale venir meno del loro obbligo di provvedere al mantenimento dei figli adottivi, che continua ad essere regolato dal combinato disposto del precedente art. 48 e dell’art. 147 cod. civ., ma devolve al Tribunale per i minorenni il potere “di emettere i provvedimenti opportuni circa la cura della persona dell’adottato, la sua rappresentanza e l’amministrazione dei suoi beni, anche se ritiene conveniente che l’esercizio della potestà sia ripreso dai genitori”; e dispone che in tal caso si applichino le disposizioni dell’art. 330 e ss. cod. civ.».
Conclude allora la corte che pur dopo il provvedimento di sospensione della loro potestà genitoriale, l’obbligo di provvedere al mantenimento dei minori, nel caso consistente nel pagamento della relativa retta, ha continuato a gravare sui genitori adottivi, essendo collegato esclusivamente al perdurare di tale status e non alla permanenza dei minori presso il nucleo familiare dei genitori ovvero alle vicende della potestà genitoriale di questi ultimi.
E’ irrilevante, a tale proposito, che il provvedimento del tribunale per i minorenni abbia posto la retta in questione a carico del Comune di Vattelapesca, avendo con ciò esclusivamente disposto l’anticipazione di essa da parte del Comune.
Nemmeno rileva, per finire, l’avvenuto trasferimento ai Comuni di tutte le funzioni amministrative relative all’organizzazione e alla erogazione dei servizi di assistenza e di beneficenza, che non ha inciso, secondo la corte, sulle condizioni e sui titoli necessari per la erogazione dei servizi e la individuazione dei destinatari, rimessi alla legislazione regionale, né ha inteso rendere gratuita la materia “beneficienza pubblica”, mantenendo anzi espressamente la distinzione tra “erogazione di servizi, gratuiti o a pagamento” (art. 22).