Il danno morale non è uguale per tutti
La corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 15 febbraio 2006, tra l’altro liquida in complessivi euro 274.107,00, da dividere in parti eguali tra le parti interessate, il danno morale patiti dal marito e dai due figli di una donna deceduta a causa di un incidente stradale (d’ora in avanti li chiamerò semplicemente «gli eredi»).
Contro la sentenza propone ricorso per cassazione la compagnia assicuratrice condannata al risarcimento. Gli eredi resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale sulla base di tre motivi.
Col primo motivo del ricorso incidentale gli eredi deducono insufficiente e contraddittoria motivazione sul processo logico e valutativo del punto concernente la valutazione del danno morale. Al momento del decesso la vittima aveva 39 anni, il marito 48, il figlio 17, la figlia 8. Secondo la corte d’appello la somma liquidata a titolo di danno morale va diviso in parti eguali tra i tre danneggiati, considerato che, nonostante la differenza di età esistente tra di essi, il dolore subito da ciascuno, è stato di pari intensità, tenuto conto dello strettissimo vincolo con la vittima e della loro convivenza con la stessa.
La corte di cassazione, con sentenza n. 10108 del 9 marzo 2011, ritiene sussistente il dedotto vizio motivazionale.
Essa richiama il proprio consolidato orientamento, secondo il quale: la liquidazione del danno morale sfugge necessariamente ad una previa valutazione analitica e resta affidata all’apprezzamento discrezione ed equitativo del giudice di merito; il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto, consistendo in un pregiudizio che si proietta nel futuro, può essere provato col ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni, sulla base degli elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire; la sua liquidazione avviene in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza, quali la consistenza del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti.
Da qui le bacchettate alla corte d’appello:
Nella specie, invece la Corte non ha dato conto, in modo congruo e corretto del percorso argomentativo che ha condotto alla quantificazione di tale voce di danno, né del perché l’intensità del vincolo familiare e di convivenza con la vittima giustificasse, nella differenza di età tra i congiunti, la paritaria distribuzione del danno morale. Tale valutazione, infatti, non risponde ai criteri di liquidazione “personalizzata” del danno morale enunciati da questa Corte, dato che il giudice di merito è pervenuto ad una quantificazione globale di tale danno utilizzando criteri automatici, né ha tenuto conto della diversa posizione del coniuge rispetto a quella di ciascuno dei figli e non ha rapportato quindi il pretium doloris del singolo familiare al turbamento psichico subito da ciascuno di essi. Invero, quanto al risarcimento del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito, pur essendone rimessa la liquidazione alla valutazione discrezionale del giudice di merito, questi deve tener conto, nell’effettuare la valutazione delle sofferenze effettivamente patite dall’offeso, della gravità dell’illecito e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso concreto. Ne consegue che il ricorso da parte del giudice di merito per la determinazione della somma dovuta a titolo di danno morale, al criterio del punto di invalidità è legittimo solo se il giudice abbia mostrato, per quanto con motivazione sintetica, di aver tenuto adeguato conto delle particolarità del caso concreto e di non aver rimesso la liquidazione del danno ad un puro automatismo (…). Ne deriva che, nel procedere a nuovo esame sul punto, la Corte territoriale terrà conto che la determinazione dell’ammontare del danno morale risponde a criteri essenzialmente equitativi; è, pertanto, congruo e corretto il ricorso che effettui a tal fine il giudice del merito alle cosiddette “tabelle”, contenenti i valori medi adottati dal medesimo ufficio giudiziario in un determinato ambito territoriale – specie se riferito a grandi aree metropolitane – per casi consimili (oggi contenenti anche apposite tabelle specificamente riferite alla liquidazione del danno patrimoniale da morte di un congiunto), integrato con la richiamata “spersonalizzazione”, che formi oggetto di motivazione, sia pure succinta.
Perciò la corte di cassazione cassa la sentenza impugnata e rinvia alla stessa corte di appello di Napoli in diversa composizione perché proceda, tra l’altro, alla rideterminazione all’attualità del risarcimento del danno morale spettante a ciascuno dei tre congiunti della vittima.
Tra le cosiddette tabelle menzionate nella sentenza della corte di cassazione la più seguita dai giudici di merito è quella elaborata nel tribunale di Milano, la quale prevede, a decorrere dall’aprile 2011, che il danno non patrimoniale conseguente alla morte del coniuge, di un genitore o di un figlio sia liquidato tra 154.350 e 308.700 euro. Un fratello o un nonno morto valgono invece tra 22.340 e 134.040 euro.