Filiazione e prescrizione
Concetta e Rosario hanno una fugace relazione, in conseguenza della quale Concetta viene ingravidata e partorisce una bambina.
Rosario non vuole saperne né di riconoscere la bambina come sua figlia, né di partecipare alle spese per il suo mantenimento. Continua la sua bella vita da single benestante, mentre Concetta alleva la figlia tra mille difficoltà.
Quando quest’ultima compie dodici anni, Concetta decide che è venuto il momento di darle un padre, e cita Rosario davanti al tribunale, allo scopo di ottenere la dichiarazione giudiziale della paternità di costui.
Rosario si dibatte, rifiuta di sottoporsi all’esame del DNA allo scopo di accertare l’eventuale paternità, ma senza profitto. Il tribunale desume da tale suo rifiuto un argomento a sostegno della paternità, e la dichiara con sentenza.
La sentenza passa in giudicato, e Rosario passa a miglior vita. Lascia un patrimonio di tutto rispetto, nessuna moglie, nessun genitore vivente e nessun testamento. Ereditano pertanto tutto il suo patrimonio tre figlie di lui, quella di Concetta, nel frattempo divenuta maggiorenne, e altre due, avute da due donne diverse e prontamente riconosciute da Rosario.
Concetta ormai ha la figlia sistemata, e finalmente pensa a sé.
Cita in giudizio le tre eredi di Rosario, compresa la propria figlia, per ottenere da loro, per un terzo ciascuna, il rimborso della metà di quanto corrisposto per il mantenimento della figlia, dalla nascita di costei sino a quel momento.
Nulla quaestio, sostengono le convenute, ma solo per i dieci anni anteriori alla proposizione della domanda, in quanto il diritto di credito di Concetta, per il periodo anteriore, sarebbe estinto in conseguenza della prescrizione ordinaria prevista dall’articolo 2946 del codice civile.
Il tribunale ci casca, liquida la somma dovuta per i dieci anni anteriori alla proposizione della domanda, e condanna le eredi di Rosario a corrisponderla, per un terzo ciascuna, a Concetta.
Concetta però non si accontenta, vuole tutto, e la corte d’appello le dà ragione. Dice l’articolo 2935 del codice civile che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Secondo la corte d’appello, questo giorno coincide con quello nel quale è passata in giudicato la sentenza che ha riconosciuto la paternità di Rosario. Da quel giorno sino a quello nel quale Concetta ha citato in giudizio le eredi di Rosario sono passati meno di dieci anni; cosicché la corte riconosce dovuto a Concetta il rimborso delle spese sin dalla nascita della figlia.
L’appetito vien mangiando. Concetta ritiene che la somma liquidata sia esigua, e ricorre per cassazione contro la sentenza della corte d’appello. Ne approfitta una delle eredi di Rosario per proporre ricorso incidentale, allo scopo di far dichiarare dalla suprema corte che la prescrizione decorre dalla nascita della figlia di Rosario e Concetta, e non dal passaggio in giudicato della sentenza che ha riconosciuto la paternità di Rosario. Ciò le farebbe risparmiare una bella sommetta.
Salomonicamente, la corte di cassazione respinge sia il ricorso principale, ritenuto mal scritto, sia quello incidentale, ritenuto infondato.
L’esame di quest’ultimo dà alla corte l’occasione di ribadire la propria costante giurisprudenza, secondo la quale, nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto quindi a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene tuttavia meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia di dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, che sorge dalla nascita del figlio. Il diritto di questi ad essere mantenuto, istruito ed educato da parte di entrambi i genitori prescinde dal riconoscimento giuridico dello status parentale. Il genitore che ritarda il suo doveroso riconoscimento, financo al punto da far intervenire il giudice, tuttavia, non può allegare a proprio vantaggio il ritardo stesso. E con ciò il ricorso incidentale è bell’e che rigettato.