Testamento improbabile
Ermengarda spedisce un plico all’avvocato Parodi. Due giorni dopo si suicida.
L’avvocato Parodi apre il plico, che nello spazio riservato alle generalità del mittente riporta la firma di Ermengarda. Esso contiene un manoscritto intitolato “testamento”, nel quale Ermengarda dichiara di nominare Adelchi proprio erede universale.
L’avvocato Parodi porta tutto dal notaio Baciccia Della Radiccia, che provvede alla pubblicazione del manoscritto come testamento olografo. Adelchi così diviene erede di tutti i beni di Ermengarda: beni immobili, conti correnti, conti di deposito.
Prima che se li possa godere, tuttavia, essi vengono sottoposti a sequestro conservativo dal tribunale di Milano, su istanza di Engelberga, madre della defunta.
Pochi giorni dopo Adelchi riceve un atto di citazione davanti al tribunale di Milano, col quale Engelberga chiede che il preteso testamento di Ermengarda sia dichiarato nullo o annullabile, e che unici eredi di Ermengarda siano dichiarati lei e i suoi due figli, fratelli germani della defunta. In subordine chiede che la disposizione testamentaria sia ridotta a suo favore, in conseguenza della lesione dei suoi diritti di legittimaria.
Adelchi si costituisce in giudizio affermando la validità del testamento in suo favore, che chiede, in via riconvenzionale, sia dichiarata dal tribunale. Aderisce alla domanda di riduzione, riconoscendo il diritto di Engelberga alla quota di un terzo del patrimonio ereditario di Ermengarda.
La domanda principale di Engelberga, riguardante la nullità del testamento di Ermengarda, viene giustificata richiamando l’articolo 602 del codice civile:
Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore.
La sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni.
[…]
e l’articolo 606 del medesimo codice:
Il testamento è nullo quando manca l’autografia o la sottoscrizione nel caso di testamento olografo […].
Nel caso del testamento oggetto della causa, manca proprio la sottoscrizione di Ermengarda in calce al testamento.
Adelchi ribatte che il testamento deve essere ritenuto valido, essendo la firma della testatrice apposta sul plico contenente il documento.
Su richiesta di Adelchi, il contraddittorio viene esteso ai fratelli di Ermengarda, i quali si costituiscono in giudizio aderendo alle domande della madre.
Il tribunale di Milano decide la causa con sentenza del 23 febbraio 2010, accogliendo le domande principali di Engelberga e dei suoi figli: dichiara la nullità del testamento di Ermengarda e riconosce quali eredi legittimi di costei la madre e i fratelli.
Ci mette poco Adelchi ad impugnare la sentenza, e ci mette poco la corte d’appello di Milano a respingere il suo appello, già nel 2011, compensando le spese del giudizio di appello.
Adelchi si gioca l’ultima carta davanti alla corte di cassazione, che con lodevole sollecitudine decide sul suo ricorso con sentenza n. 22420, depositata l’1 ottobre 2013. Le controparti qui sono i soli fratelli di Ermengarda, in proprio e quali eredi universali della madre Engelberga, deceduta medio tempore (evento non del tutto infrequente nelle nostre cause, che talvolta — quando vi sono controversie sulla successione della parte defunta — dà l’avvio ad inestricabili grovigli giuridici).
Dei due motivi di ricorso di Adelchi, viene accolto quello al quale certamente egli teneva di meno. Con l’atto di appello Adelchi aveva chiesto, in via subordinata (cioè in caso di rigetto del motivo di appello principale), che fossero compensate integralmente ovvero ridotte le spese di lite poste a suo carico dal tribunale. La corte d’appello aveva ignorato tale domanda, limitandosi a compensare le spese del giudizio di appello. Dovrà farlo ora, perché così ha ordinato la corte di cassazione.
Quanto al motivo di ricorso principale, invece, Adelchi viene deluso, com’era agevole prevedere.
Osserva la corte che «la materia testamentaria è caratterizzata da un significativo livello di formalismo, di lunga tradizione storico-giuridica, che coinvolge anche il testamento olografo. Sebbene questo tipo di testamento non sia un atto pubblico e, quindi, non sia dotato di pubblica fede, tuttavia la legge prevede l’osservanza di determinate formalità, la mancanza delle quali è sanzionata con la nullità: la autografia e la sottoscrizione. Mancando, nel testamento olografo, la figura del pubblico ufficiale che attesti la effettiva riconducibilità delle dichiarazioni di ultima volontà al testatore, questo collegamento, che costituisce l’aspetto più importante dell’atto in esame, è garantito, nel testamento olografo, proprio dalla sottoscrizione».
A questo proposito la corte richiama una propria sentenza precedente, la numero 13487 del 2005, nella quale aveva affermato che «in tema di nullità del testamento olografo, il requisito della sottoscrizione, previsto dall’art. 602 cod. civ. distintamente dall’autografia delle disposizioni in esso contenute, ha la finalità di soddisfare l’imprescindibile esigenza di avere l’assoluta certezza non solo della loro riferibilità al testatore, già assicurata dall’olografia, ma anche dell’inequivocabile paternità e responsabilità del medesimo che, dopo avere redatto il testamento – anche in tempi diversi – abbia disposto del suo patrimonio senza alcun ripensamento».
Se questa è la portata del requisito della sottoscrizione nel testamento olografo, ben si comprende, secondo la corte, «la rigidità con cui la giurisprudenza di legittimità, in ossequio al dettato degli articoli 602 e seguenti cod. civ., ha interpretato la necessità della sottoscrizione da apporre in calce al testamento, negando, ad esempio, la validità del testamento con sottoscrizione apposta lateralmente (Cass. n. 16186 del 2003)».
Ne consegue, secondo la corte, che Adelchi «propugna una tesi che non può trovare accoglimento nel contesto della normativa vigente. Accogliere il principio per cui il giudice dovrebbe andare alla ricerca degli elementi costitutivi di un testamento da qualificare come fattispecie a formazione complessa (e quasi progressiva, attesa la possibilità, giusta la tesi del ricorrente, di apporre successivamente e in altro supporto cartaceo la sottoscrizione), significherebbe svilire la finalità che la sottoscrizione deve assolvere».
D’altra parte, la stessa corte ricorda di avere già chiarito, in una sentenza precedente (la numero 15379 del 2000), che «le conseguenze della mancanza della sottoscrizione di un testamento olografo non sono ovviabili da firme apposte dal testatore su una busta contenente la scheda testamentaria, perché tali elementi non sono sufficienti a collegare, logicamente e sostanzialmente, lo scritto della scheda con quello della busta, attestando invece dette firme soltanto l’esistenza all’interno di essa di un testamento, valido o invalido che sia».