Una causa di troppo
Nel 2005 Futilio propone una causa davanti al giudice di pace di Napoli, allo scopo di ottenere il risarcimento del danno subìto in conseguenza del danneggiamento del suo motociclo in un incidente stradale. La causa si conclude con sentenza, con la quale il giudice di pace condanna al risarcimento il responsabile dell’incidente e la sua compagnia assicuratrice.
Nel 2006 lo stesso Futilio propone una causa davanti al tribunale di Napoli, allo scopo di ottenere il risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, subìto in conseguenza delle lesioni personali patite a seguito del medesimo incidente stradale, per il quale aveva ottenuto la sentenza favorevole del giudice di pace.
Stavolta gli va male, perché il tribunale, con sentenza del 13 luglio 2012, dichiara la domanda improponibile, ravvisando nella sua proposizione un abuso del diritto, sulla base dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, anche in riferimento al credito risarcitorio.
Sollecitata dall’impugnazione di Futilio, la corte d’appello di Napoli dichiara inammissibile l’appello, in mancanza di una ragionevole possibilità di essere accolto, pronunciando ordinanza ex art. 348-bis cpc.
Avverso la sentenza di primo grado Futilio propone allora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Il ricorso, assegnato alla sesta sezione civile della corte di cassazione, viene rigettato con sentenza n. 21318 del 21 ottobre 2015.
Si tratta di una sentenza di una sola pagina, nella quale la corte si limita a richiamare una sua precedente sentenza (la numero 28286 del 2011), della quale somministra la massima all’incauto ricorrente: «In tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, non è consentito al danneggiato, in presenza di un danno derivante da un unico fatto illecito, riferito alle cose ed alla persona, già verificatosi nella sua completezza, di frazionare la tutela giurisdizionale mediante la proposizione di distinte domande, parcellizzando l’azione extracontrattuale davanti al giudice di pace ed al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, e ciò neppure mediante riserva di far valere ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento, in quanto tale disarticolazione dell’unitario rapporto sostanziale nascente dallo stesso fatto illecito, oltre ad essere lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede, per l’aggravamento della posizione del danneggiante-debitore, si risolve anche in un abuso dello strumento processuale».
Oltre ad affermare la sua adesione al principio affermato in questa massima, la corte aggiunge una censura ad hoc per Futilio: «si lamenta che giudice del merito non avrebbe attribuito rilievo a comportamenti non scorretti dell’attore/creditore e a contrapposti comportamenti contrari alla correttezza da parte dell’Assicurazione debitrice. Invece, non vengono in rilievo i contrapposti interessi considerati da una ottica soggettivistica, ma – in un’ottica di sistema generale della tutela processuale – la mancanza di tutela apprestata dall’ordinamento costituzionale al creditore quando l’utilizzo dello strumento processuale è effettuato oltre i limiti della sua funzionalizzazione al perseguimento del diritto per cui è stato conferito».
A Futilio va tutto sommato bene, perché gli intimati non si sono costituiti, ciò che gli consente di scansare la condanna alla rifusione delle spese in loro favore; ma non l’obbligo, dichiarato dalla corte, di versare all’erario l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, come previsto dall’articolo 13, comma 1-quater, del DPR 30 maggio 2002 n. 115.