Niente risarcimento agli imprudenti
Plinio muore annegato, mentre fa il bagno in un tratto di mare prospiciente il litorale di Paperopoli, privo di adeguato servizio di assistenza alla balneazione e di salvataggio o di segnalazioni sulla pericolosità del tratto di mare in questione.
I genitori e il fratello di Plinio ottengono dal giudice di merito competente la condanna del Comune di Paperopoli al risarcimento dei danni da loro patiti in conseguenza della morte del congiunto.
La corte di cassazione, tuttavia, in accoglimento del ricorso del Comune, decidendo del merito respinge definitivamente la domanda di risarcimento.
Di regola questo avrebbe posto termine alla controversia.
I congiunti di Plinio, tuttavia, non si arrendono e propongono ricorso per revocazione della sentenza della cassazione.
La corte decide con ordinanza della VI sezione n. 18619/16, depositata il 22 settembre 2016.
La sentenza impugnata ha ritenuto che sussistesse nella condotta della vittima una causa sopravvenuta di per sé sola idonea a causare l’evento mortale (“causa prossima di rilievo”), avendo Plinio scelto di tuffarsi nel mare agitato, non sapendo nuotare e, siccome non del luogo, ignaro delle forti correnti di quel tratto di mare: così accettando volontariamente un rischio grave e percepibile con l’uso dell’ordinaria diligenza e rendendo irrilevante la condotta di chi, benché obbligato a segnalare il pericolo, non vi avesse provveduto.
Il ricorso dei congiunti è basato su tre motivi, dei quali i primi due, fondati su pretesi errori di percezione della corte, sono giudicati inammissibili, in quanto non riconducibili al paradigma dell’errore revocatorio, che secondo la corte «si individua nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti del giudizio di legittimità e tale da aver indotto la stessa Corte di cassazione a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati».
E’ più interessante il terzo motivo di ricorso, col quale i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 46 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in quanto la corte non si sarebbe conformata alle decisioni della Corte di Strasburgo; in particolare, l’ingiustizia della sentenza impugnata per violazione della costante interpretazione della Corte dei diritti dell’Uomo dell’art. 2 CEDU sul diritto alla vita.
La corte prende sul serio tale motivo, che esamina accuratamente.
Tuttavia giunge a ritenerlo inammissibile in conformità al seguente principio di diritto: supera il controllo di proporzionalità richiesto dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo in tema di tutela del diritto fondamentale alla vita, oggetto dell’art. 2 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, la decisione di merito che, pure ammessa la violazione di generali obblighi di precauzione in capo a pubbliche autorità, escluda un obbligo risarcitorio in capo a queste ultime per avere ricostruito in fatto quale unica causa della morte di un individuo (nella specie, annegato per essere entrato in mare agitato in assenza delle prescritte segnalazioni di pericolo a carico del Comune) la sua condotta negligente di assunzione consapevole e volontaria di un rischio grave per la vita.