Appello col morto
Con sentenza emessa nel 2006 il Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, condanna Zelindo a pagare a Saverio la somma di euro 25.822,84 in linea capitale nonché euro 30.329,94 oltre interessi nella misura legale dal 25 gennaio 2000.
Zelindo propone appello, cui resiste Saverio.
All’udienza del 28 novembre 2011 si costituiscono davanti alla corte d’appello di Venezia gli eredi di Saverio, deceduto dopo la costituzione in appello, nonché gli eredi di Zelindo.
La corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 10 maggio 2012, dichiara inammissibile l’appello, condannando gli eredi di Zelindo al pagamento delle spese processuali del secondo grado di giudizio in favore degli eredi di Saverio.
La corte d’appello rileva che, essendo incontroverso che Zelindo è deceduto nel corso del giudizio di primo grado, in data 14 ottobre 2005, l’atto di appello proposto a suo nome nel 2006 deve ritenersi giuridicamente inesistente. Infatti in relazione al giudizio di impugnazione non è invocabile il principio di ultrattività del mandato, trovando applicazione la disciplina sulla rappresentanza e sul mandato, ai sensi della quale la morte del mandante estingue il mandato. In particolare, la norma espressa dall’art. 300 del codice di procedura civile, che attribuisce al procuratore la possibilità di continuare a rappresentare in giudizio la parte che gli abbia conferito il mandato, anche se nel frattempo deceduta, va contenuta entro il rigoroso ambito ivi previsto, ossia nei limiti di quella fase del processo in cui si è verificato l’evento non dichiarato né notificato concernente il mandante, e non può espandersi nella successiva fase di quiescenza e di riattivazione del rapporto processuale.
Gli eredi di Zelindo propongono ricorso per cassazione, che viene deciso dalla seconda sezione civile della corte di cassazione con sentenza n. 24440/16, depositata il 30 novembre 2016.
Il ricorso viene accolto in conseguenza di queste considerazioni.
«Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. Un., 4 luglio 2014, n. 15295), in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300, quarto comma, cod. proc. civ.. Quindi, la morte della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarata in udienza o notificata alle altre parti, comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione in rappresentanza della parte che, deceduta, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita».
Perciò la corte cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Venezia, che dovrà pronunciarsi sul merito dell’appello proposto da Zelindo.