Il comodato a tempo determinato non sopravvive al fallimento
Vincenza abita in una casa concessale in comodato dalla società Beta.
Quest’ultima viene dichiarata fallita dal tribunale di Teramo.
Il giudice delegato del fallimento dispone che Vincenza rilasci la casa in favore della curatela.
Vincenza propone reclamo contro il provvedimento di rilascio,evidenziando la propria qualità di comodataria della casa in virtù di contratto munito di data certa anteriore al fallimento, altresì rimarcando di essere in età avanzata e totalmente invalida.
Il reclamo viene respinto dal tribunale di Teramo con ordinanza dell’8 novembre 2013.
Il Tribunale ritiene il comodato come precario, in quanto a tempo indeterminato, sicché non si pone un problema di sua opponibilità alla curatela, ben potendone la risoluzione essere richiesta dal comodante ad nutum (cioè, a proprio piacimento).
Contro tale ordinanza Vincenza propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
Resiste il fallimento.
Muore Vincenza e le sue due figlie intervengono nel giudizio di cassazione, qualificandosi come uniche sue eredi.
La prima sezione civile della corte decide sul ricorso con sentenza n. 27938, depositata il 31 ottobre 2018.
Con l’unico motivo di ricorso Vincenza aveva lamentato la violazione e falsa applicazione degli articoli 1803 e 1810 del codice civile, per avere il giudice di primo grado errato nella sussumibilità del contratto di comodato agli atti nell’ambito dei contratti di comodato a tempo indeterminato. Si tratta invece, secondo Vincenza, di un contratto “a vita” come espressamente in esso indicato. Secondo Vincenza il comodato “vita natural durante” è un contratto a termine finale incerto, in quanto la cessazione degli effetti del vincolo contrattuale si determina soltanto con la morte del comodatario. Ne consegue, in tale ipotesi, che il comodante ed i suoi successori devono rispettare il termine di durata del contratto. Pertanto, poiché la ricorrente è detentrice qualificata dell’immobile quoad vitam, con contratto registrato recante data certa anteriore al fallimento, è del tutto infondato l’azionato rilascio dell’immobile.
La corte rileva, anzitutto, che la sopravvenuta morte di Vincenza ha ormai determinato la cessazione della materia del contendere, e, per l’effetto, l’inammissibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del ricorso per cassazione.
È sufficiente alla corte rimarcare che, ai sensi dell’articolo 1811 del codice civile, in caso di morte del comodatario, il comodante, benché sia stato convenuto un termine, può esigere dagli eredi l’immediata restituzione della cosa. Perciò il ricorso viene dichiarato inammissibile, con compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
Poiché però la corte ritiene che la questione di diritto proposta da Vincenza sia di particolare importante, decide di pronunciarsi d’ufficio su di essa, ai sensi dell’articolo 360 comma 3 del codice di procedura civile.
La corte osserva preliminarmente che, per costante giurisprudenza, un contratto recante l’espressa previsione della sua durata coincidente con la vita del comodatario deve ritenersi come contratto a tempo determinato.
Si chiede quindi la corte se il fallimento del soggetto che abbia concluso, in qualità di comodante, un contratto di comodato immobiliare a tempo determinato possa o meno configurarsi come evento idoneo a determinare l’obbligo del comodatario di restituire immediatamente, alla curatela che lo richieda, il bene che ne costituisce l’oggetto.
Ad avviso della corte, la risposta ad un siffatto interrogativo deve essere positiva.
Per giustificare tale conclusione la corte richiama l’articolo 1809 comma 2 del codice civile, a norma del quale il comodante, anche prima del termine di scadenza del contratto eventualmente convenuto, e, comunque, prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, può esigerne la restituzione immediata se colto da un bisogno urgente e non previsto al momento della stipulazione del contratto.
Afferma la corte che, da un lato, la sopravvenuta dichiarazione di fallimento del comodante certamente comporta, per effetto del corrispondente spossessamento del debitore fallito di cui all’articolo 42 della legge fallimentare, l’acquisizione dell’immobile detenuto dal comodatario alla massa fallimentare; dall’altro, che è innegabile la necessità della curatela di riottenere subito quel cespite, libero da persone e cose, per il migliore soddisfacimento (attraverso una locazione o la vendita dello stesso) dei creditori concorsuali: situazione, quest’ultima, da ritenersi, prevalente rispetto ad eventuali necessità abitative del comodatario, e, come tale, idonea a giustificare il recesso esercitato dalla prima.
Viene perciò affermato dalla corte il seguente principio di diritto nell’interesse della legge: «In tema di comodato immobiliare a tempo determinato, il fallimento del comodante pronunciato dopo la stipulazione del relativo contratto genera l’obbligo del comodatario di restituire immediatamente, alla curatela che lo richieda, il bene oggetto del contratto stesso».