Niente risarcimento per il vedovo fedifrago
La povera Lucia va a schiantarsi su un trattore non assicurato e muore.
Il tribunale di Matera condanna l’impresa designata per il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal padre, dai figli e dai fratelli di Lucia. Rigetta invece la domanda proposta da Simone, marito di Lucia.
L’appello proposto da Simone non ha miglior sorte: viene respinto dalla corte d’appello di Potenza con sentenza del 27 aprile 2016.
La corte giustifica il rigetto evidenziando che la presunzione di sussistenza tra coniugi non separati di un progetto di vita in comune e di un vincolo affettivo è stata, nella specie, superata da elementi di segno contrario, atteso che Simone ha avuto una relazione extraconiugale, dalla quale è nato un figlio tre mesi prima della morte di Lucia. Simone, sul quale incombeva l’onere della relativa prova, non ha dimostrato, in presenza di una circostanza che — secondo comune esperienza — costituisce sintomo del deterioramento e della cessazione di un rapporto coniugale, la perdurante sussistenza tra i coniugi di un vincolo affettivo.
Simone propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, col quale si duole che la corte d’appello, sulla sola base di una relazione extraconiugale e della conseguente nascita di un figlio naturale, abbia ritenuto insussistente il legame affettivo tra i coniugi al momento dell’incidente, ed abbia quindi rigettato, per mancanza di prova, la richiesta di risarcimento per il subito pregiudizio morale da perdita del rapporto parentale. A detta di Simone la relazione extraconiugale e la nascita di un figlio naturale non sono elementi univoci rispetto all’insussistenza delle sofferenze morali subite in conseguenza della morte del coniuge; la relazione sentimentale extraconiugale non può costituire grave e preciso elemento utile a ritenere cancellato totalmente il legame affettivo esistente con il coniuge deceduto e negare qualsiasi forma di ristoro del pregiudizio morale; inopinatamente la corte ha equiparato il deterioramento alla cessazione del rapporto affettivo.
La terza sezione civile della corte di cassazione, cui è assegnato il ricorso, decide su di esso con sentenza numero 31958/18, depositata l’11 dicembre 2018, che mette una pietra tombale sulla pretesa di Simone.
Secondo la corte, «in termini generali, il fatto illecito costituito dalla uccisione di uno stretto congiunto appartenente al ristretto nucleo familiare (genitore, coniuge, fratello) dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella sofferenza morale che solitamente si accompagna alla morte di una persona cara e nella perdita del rapporto parentale e conseguente lesione del diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che ordinariamente caratterizza la vita familiare. Si tratta, pertanto, di un danno presunto, dovendosi ordinariamente ritenere sussistente tra detti stretti congiunti un intenso vincolo affettivo ed un progetto di vita in comune; nella normalità dei casi, pertanto, in virtù di detta presunzione, il soggetto danneggiato non ha l’onere di provare di avere effettivamente subito il dedotto danno non patrimoniale. Siffatta presunzione semplice può tuttavia, come tale, essere superata da elementi di segno contrario, quali la separazione legale o (come nel caso di specie) l’esistenza di una relazione extraconiugale con conseguente nascita di un figlio tre mesi prima della morte del coniuge (relazione extraconiugale che costituisce evidente inadempimento all’obbligo di fedeltà tra coniugi di cui all’art. 143 cc). Detti elementi non comportano, di per sé, l’insussistenza del danno non patrimoniale in capo al coniuge superstite, ma impongono a quest’ultimo, in base agli ordinari criteri di ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cc (essendo stata, come detto, superata la presunzione), di provare di avere effettivamente subito, per la persistenza del vincolo affettivo, il domandato danno non patrimoniale». La corte osserva che, nel caso di specie, la corte d’appello, con valutazione in fatto (come tale non sindacabile in sede di legittimità), ha ritenuto che Simone non avesse fornito detta prova e conclude pertanto che la domanda risarcitoria è stata correttamente rigettata.