Contratto preliminare e usucapione
Pippo stipula un contratto preliminare con Paperino, col quale si impegna a vendergli un terreno edificabile, del quale gli concede la disponibilità.
Non viene mai stipulato il contratto definitivo, cosicché Pippo chiede e ottiene la dichiarazione di risoluzione del contratto preliminare, e la condanna di Paperino alla restituzione del terreno.
Sennonché Paperino, che nel frattempo ha costruito una casa sul terreno oggetto del contratto, si oppone, chiedendo che sia dichiarata l’usucapione del terreno a suo favore.
I due gradi del giudizio di merito si risolvono a favore di Pippo.
Paperino propone ricorso per cassazione.
Con l’unico motivo di ricorso, deduce la violazione degli articoli 1150, 1140, 1376 e 936 del codice civile, per avere la corte territoriale escluso il suo possesso ad usucapionem, nonostante fosse stata fornita la prova del potere di fatto sul bene, acquisito in forza di contratto preliminare e dell’animus possidendi, per avere edificato sul terreno una villa a proprie spese.
Purtroppo per Paperino, sulla questione esiste ormai giurisprudenza consolidata, che la seconda sezione civile della corte di cassazione ribadisce con l’ordinanza numero 3305/2019, depositata il 5 febbraio 2019.
Dice la corte: «è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori; pertanto, la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, salvo la dimostrazione di un’intervenuta interversio possessionis nei modi previsti dall’art. 1141 cc». Quest’ultima disposizione stabilisce che «se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga ad essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore».
Orbene, secondo la cassazione «la corte territoriale ha correttamente escluso che integrasse un atto di interversio possessionis l’edificazione, da parte della ricorrente, di una villa sul terreno, non potendo l’interversione nel possesso avvenire mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in un fatto esterno, da cui sia consentito desumere che il possessore nomine alieno ha cessato di possedere in nome altrui e ha iniziato un possesso per conto e in nome proprio; il mutamento del titolo in base al quale il soggetto deve derivare da un atto di opposizione univocamente rivolta contro il possessore, e cioè contro colui per cui conto la cosa è detenuta, in guisa da rendere esteriormente riconoscibile all’avente diritto che il detentore intende sostituire alla preesistente intenzione di subordinare il proprio potere a quello altrui l’animus di vantare per sé il diritto esercitato, convertendo così in possesso la detenzione precedentemente esercitata».
In conclusione, il ricorso di Paperino viene dichiarato inammissibile. La mancata costituzione di Pippo nel giudizio di cassazione gli evita la condanna nelle spese.