Come si divide un bene indivisibile
Mafalda e Vittoria fanno causa al fratello Marcello, beneficiario di un testamento della madre comune, che gli attribuisce una quota di eredità maggiore di quella della quale ella poteva disporre.
Il tribunale di Treviso, accogliendo la domanda, accerta la lesione della legittima e dichiara il diritto di Mafalda e Vittoria di partecipare all’eredità in ragione di un sesto ciascuna. Pronuncia inoltre lo scioglimento della comunione ed assegna l’unico bene che ne fa parte a Marcello, che viene altresì condannato a corrispondere un conguaglio alle sorelle (corrispondente al valore delle rispettive quote) e a rimborsare loro le spese del giudizio.
Marcello propone appello, lamentando che l’unico cespite della comunione ereditaria è stato sovrastimato, oltre ad avere errato il giudice di prime cure nel riconoscere le rispettive partite di dare ed avere fra le parti. In sede di precisazione delle conclusioni chiede inoltre che la corte, in luogo dell’assegnazione dell’immobile a suo favore, proceda alla divisione con la vendita del bene e la ripartizione del ricavato tra le parti, in proporzione alle rispettive quote.
La corte d’appello di Venezia considera inammissibile tale ultima domanda, in quanto Marcello non ha proposto appello contro il capo della sentenza di primo grado che ha disposto l’assegnazione.
Si arriva in cassazione, seconda sezione. Con ordinanza numero 3497/2019, depositata il 6 febbraio 2019, la corte esamina congiuntamente i primi due motivi di ricorso di Marcello, e li ritiene fondati.
Secondo la corte «la domanda di attribuzione di un immobile indivisibile, lungi dal rivestire natura negoziale […] costituisce una modalità attuativa della divisione e si risolve nella mera specificazione della pretesa introduttiva del processo rivolta a porre fine allo stato di comunione, come tale invero formulabile anche in appello».
«[…] Deve poi evidenziarsi l’infondatezza dell’ulteriore statuizione che muove dalla premessa che l’istanza di assegnazione di un immobile indivisibile si configuri come una domanda: è infatti agevole replicare che la rinuncia ad una potestà, anche implicita, è sempre consentita, che normalmente implica una presunzione di abbandono o di rinuncia alla stessa […], come del resto affermato da questa Corte proprio con espresso riferimento alla rinuncia anche tacita alla attribuzione di un immobile indivisibile, intesa appunto come una eccezione, quando, proposta una prima volta, risulti superata da successive richieste incompatibili della stessa parte».
«[…] Né d’altra parte tale convincimento poteva comportare la necessità di impugnare la pronuncia sul capo dell’assegnazione onde pervenire poi alla rinuncia della relativa istanza».
Perciò la sentenza di appello viene cassata con rinvio a diversa sezione della corte di appello di Venezia, la quale non potrà far altro che prendere atto della richiesta di Marcello e mettere in vendita l’immobile in comunione, ripartendo il ricavato tra fratello e sorelle.