Dei danni provocati dai minori rispondono i genitori
C’è un articolo del codice civile, che molti non conoscono, ma che dovrebbero imparare a memoria: il 2048.
Stabilisce il primo comma: «Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi».
Aggiunge il terzo comma: «Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità solo se provano di non aver potuto impedire il fatto».
L’esistenza di questo articolo credo sia ragione sufficiente per stipulare un contratto di assicurazione per la responsabilità civile derivante da fatti illeciti dei figli minori, da rinnovare sino a quando i figli siano tutti divenuti maggiorenni.
Per convincersene ulteriormente basterebbe leggere una delle tante sentenze pronunciate in questa materia, come quella di cui riassumerò ora i termini essenziali.
Nel 2004 Raffaele e Rosaria, genitori del piccolo Luca, citano in giudizio Pasquale e Luisa, dai quali pretendono il risarcimento di tutti i danni derivanti dalle lesioni personali subite da Luca, in seguito ad un incidente avvenuto l’anno prima, quando Luca aveva quattro anni.
Raccontano gli attori che Luca, mentre era tenuto per mano dalla madre, è stato investito dalla bicicletta condotta da Antonio, figlio minore di Pasquale e Luisa. A seguito dell’incidente Luca ha riportato una frattura del gomito sinistro, con postumi permanenti.
Pasquale e Luisa si costituiscono in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda.
A conclusione di una causa durata otto anni, il tribunale di Napoli, sezione distaccata di Marano, condanna Pasquale e Luisa al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese di lite.
Pasquale e Luisa propongono appello davanti alla corte d’appello di Napoli, che con sentenza emessa dopo ulteriori sei anni rigetta l’appello e condanna gli appellanti alla rifusione delle spese del grado.
Si va in cassazione, ma stavolta si fa presto.
La seconda sezione civile della corte dichiara l’inammissibilità del ricorso di Pasquale e Luisa con ordinanza numero 24721/2019, depositata il 3 ottobre 2019.
Secondo i ricorrenti la corte d’appello non avrebbe interpretato correttamente l’art. 2048 cc, il quale presuppone l’esistenza di un fatto illecito commesso dal figlio minore. Nel caso di specie, parte ricorrente ritiene che non si sia raggiunta la prova dell’illiceità dell’accaduto. Inoltre sostengono i ricorrenti che la responsabilità genitoriale, prevista dall’art. 2048 cc, fondata su una presunzione di culpa in educando o in vigilando, verrebbe superata quando l’illecito del figlio minore sia commesso nell’ambito della sua sfera di autonomia, la cui attività è sottratta al costante controllo dei genitori. Pertanto, essendo il sinistro avvenuto all’interno di un parco, in cui il bambino svolgeva solite attività di svago, risultava impossibile per il genitore vigilare il proprio figlio.
Aggiungono che non si sarebbe raggiunta prova certa della causazione dell’evento dannoso, il cui onere è a carico degli attori.
La cassazione se la sbriga in poco tempo: «Entrambi i motivi sono inammissibili in quanto volti ad ottenere una nuova e diversa valutazione dei dati processuali e a contestare sul piano meramente fattuale – al di là della veste formale conferita alla censura – il contenuto della motivazione della sentenza di appello che appare, di converso, immune da vizi logico-giuridici. Sono anche fuori dai limiti posti da Cass. S.U. 8053- 8054/2014, e si traducono in una critica generica alla sentenza d’appello, peraltro diretta ad ottenere una rivalutazione dei fatti, attività che oltrepassa i limiti del sindacato di legittimità».
«La Corte di cassazione ha più volte affermato che il vizio di motivazione deducibile con il ricorso ex art. 360 c.p.c. n. 5, non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato al giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, essendo riservati esclusivamente al Giudicante l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e la scelta fra le risultanze istruttorie ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, con l’unico limite di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento od a confutare ogni deduzione difensiva (Cass. 1554/2004; 129/2004; 16034/2002)».
Non basta: «Inoltre i motivi sarebbero comunque inammissibili per violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c. ( Cass. S.U. n. 7161/2010 ; Cass. S.U. n. 28547/2008; Cass. n. 19157/12; Cass. n. 22726/11; Cass. n. 19069/2011)».
«Invero, non è dato riscontrare vizi dell’iter argomentativo della sentenza di appello, avendo il giudice interpretato correttamente la giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità genitoriale ex art. 2048, applicandola al caso di specie. Infatti sulla base dell’istruttoria, il giudice del merito ha valutato come negligente la condotta di guida della bicicletta da parte del Do. che ha determinato lo scontro con il minore Sc. Lu. ed ha ritenuto, sulla base dei principi di questa Corte, i genitori responsabili di non aver impartito al figlio un’educazione sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione né di aver svolto una vigilanza adeguata in relazione all’età all’indole e al carattere del figlio».
«La precoce emancipazione dei minori frutto del costume sociale non esclude né attenua la responsabilità che l’art. 2048 cod. civ. pone a carico dei genitori, i quali, proprio in ragione di tale precoce emancipazione, hanno l’onere di impartire ai figli l’educazione necessaria per non recare danni a terzi nella loro vita di relazione, dovendo rispondere delle carenze educative a cui l’illecito commesso dal figlio sia riconducibile».
L’insegnamento che se ne può trarre è questo: la «prova di non aver potuto impedire il fatto» prevista dal terzo comma dell’art. 2048 cc assomiglia molto ad una probatio diabolica.
Si fa prima a stipulare un contratto di assicurazione, che costa poco e leva tanti pensieri ai genitori.