L'avvocato non risponde di negligenze che non influiscono sull'esito della causa
Beatrice viene citata in giudizio davanti al tribunale di Trento dal condominio Y, il quale le contesta la illegittima chiusura con cancello e lucchetto di un posto auto, che il condominio rivendica invece in parte in comproprietà, ed in parte adibito a transito comune.
Beatrice chiama in giudizio i venditori, che hanno garantito la piena ed esclusiva proprietà del bene, onde ottenere da questi ultimi il risarcimento del danno, consistente nella differenza tra quanto versato ed il valore effettivo del box, per come ridimensionato a seguito delle pretese del condominio.
L’avvocato A., incaricato da Beatrice della sua difesa, poiché vive lontano da Trento, fa incaricare insieme a sé l’avvocato B., che invece ha studio in Trento, col compito di partecipare alle udienze e riferire ad A. tutto quello che accade in loco, in modo che A. possa prendere le decisioni rilevanti per la gestione della causa; decisioni che dovranno essere puntualmente eseguite da B.
Nel linguaggio del foro A. viene chiamato dominus, e B. domiciliatario (anche se ormai sarebbe più corretto chiamarlo sostituto, visto che l’elezione di domicilio presso un avvocato locale non è più necessaria e in concreto viene effettuata sempre più raramente, posto che dal 2014 le notifiche agli avvocati vanno fatte al loro indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici registri).
Il tribunale di Trento ammette, con ordinanza pronunciata fuori udienza, le prove testimoniali richieste da A. L’avvocato B., però, si dimentica di informarlo, col risultato che la prova non viene assunta.
Il tribunale rigetta la domanda di Beatrice nei confronti dei suoi danti causa.
Beatrice promuove allora una causa nei confronti dell’avvocato B., per ottenere da lui il risarcimento dei danni, derivanti dal fatto di non avere tempestivamente informato l’avvocato A. dell’ordinanza di ammissione della prova.
Il giudice di primo grado accoglie la domanda, sul presupposto che, ove assunte, le prove avrebbero consentito un esito diverso e favorevole della lite.
Invece la corte di appello, su impugnazione dell’avvocato B., ribalta la decisione, ritenendo non provato il nesso di causalità tra la negligenza del difensore domiciliatario e l’esito della lite. In caso di negligenza del difensore, dice la corte, occorre comunque valutare il nesso di causa con l’esito della lite, nel senso di accertare se la condotta alternativa lecita avrebbe o meno comportato un esito diverso. Secondo la corte di appello Beatrice non ha dimostrato che, in caso di assunzione delle prove, l’esito sarebbe stato a lei favorevole. Anzi: ritiene comunque ininfluenti quelle testimonianze.
Beatrice ricorre per cassazione, sulla base di un unico motivo. L’avvocato B. resiste con controricorso.
La terza sezione civile della corte decide con ordinanza numero 25778/2019, depositata il 14 ottobre 2019.
La ratio della decisione impugnata viene così riassunta dalla corte: «La domanda della B. verso i suoi danti causa è stata rigettata sulla base dei soli documenti, che dimostravano la corrispondenza tra quanto promesso in vendita e quanto venduto effettivamente, e che provavano quindi la parziale appartenenza del box all’area condominiale. Conseguentemente, non aveva influito sulla decisione, in alcun modo, l’esito delle prove orali effettivamente assunte, e non avrebbe potuto influirvi altresì la prova testimoniale della ricorrente, anche se fosse stata ammessa».
La corte d’appello, secondo Beatrice, si è posta il problema di verificare se le testimonianze avrebbero potuto modificare il contenuto del contratto in ordine alla estensione del bene, ed ha effettuato il giudizio prognostico (se potesse esservi cioè esito favorevole) rispetto a tale finalità difensiva.
Invece avrebbe dovuto avvedersi che la finalità difensiva era un’altra, vale a dire di provare il dolo, il raggiro dei venditori ai danni dell’acquirente, quanto alla estensione effettiva del bene da lei acquistato.
Se la corte avesse fatto ciò, sarebbe di certo arrivata alla conclusione che l’assunzione delle prove avrebbe consentito un esito favorevole della lite.
Il motivo viene ritenuto infondato dalla corte di cassazione.
Afferma, limpidamente, la corte: «l’indagine prognostica va effettuata sul tipo di domanda proposta dalla parte nel giudizio iniziale. Per stabilire se l’omissione dell’avvocato ha avuto una certa incidenza sul risultato, necessariamente occorre riferirsi per l’appunto al risultato sperato nel giudizio in cui è ipotizzata la colpa del difensore, che altro non è se non la domanda fatta in giudizio, ossia il bene della vita preteso dalla parte».
«Ciò implica ulteriormente che, ai fini della sufficienza del ricorso la parte deve indicare che domanda ha proposto nel giudizio in cui si sarebbe verificata la negligenza del difensore, indicazione del tutto omessa nella fattispecie, ma necessaria per poter verificare se la valutazione prognostica circa l’incidenza della omissione del difensore sull’esito, è corretta o meno. Ad ogni modo, dalla sentenza e dal controricorso si ricava che la domanda proposta dalla B. nei confronti dei suoi danti causa era rivolta ad ottenere una riduzione del prezzo corrisposto per un box rivelatosi più piccolo di quello oggetto di pattuizione».
«Ed è rispetto a tale domanda che la corte di appello ha ritenuto non influente la negligenza del difensore, avendo il tribunale di quel giudizio rigettato le pretese della B. sulla base dei soli documenti, che dimostravano corrispondenza di estensione tra il bene promesso e quello consegnato».
«Invece, nel motivo di ricorso la B. assume che la valutazione avrebbe dovuto farsi rispetto alla domanda di dolo dei venditori nella fase precontrattuale, che appare diversa da quella effettivamente proposta».
«Va da sè che la verifica della incidenza della negligenza del difensore nell’altro giudizio va verificata in relazione alla domanda in quel giudizio proposta, e dunque al risultato sostanziale che la parte si era prefisso, per verificare se la condotta del legale ha probabilmente precluso il conseguimento di quel risultato».
«Non è invece ammissibile che il giudizio di probabile incidenza sull’esito della lite venga effettuato in base ad una domanda diversa da quella effettivamente fatta valere nel giudizio iniziale».
Basterebbe questo ai fini della decisione, ma la corte coglie l’occasione di una precisazione di carattere generale:
«Il giudizio controfattuale (se il convenuto avesse agito nella maniera dovuta, il danno non si sarebbe verificato) è un giudizio sul nesso di causalità di tipo condizionalistico, poichè mira a stabilire se, eliminata mentalmente l’azione compiuta (o l’omissione) e sostituita con quella doverosa, l’evento si sarebbe verificato o se ne sarebbe verificato un altro».
«Ovviamente in questa verifica può seguirsi la logica probabilistica, nel senso di ritenere sufficientemente provata l’efficienza causale se è probabile che, sostituita l’azione compiuta con quella doverosa, l’evento non si sarebbe verificato».
«Ma ciò non cambia la natura del giudizio».
«Infatti, il giudizio controfattuale conduce a comparare il caso reale (l’avvocato ha dimenticato di far assumere la prova) con quello ipotetico (cosa sarebbe successo se invece l’avesse fatta assumere), nel quale le circostanze, senza il fattore considerato, conducono al risultato il più probabile vicino al corso normale delle cose. Se questo risultato è analogo all’effetto reale, il fatto considerato (la negligenza del difensore) non ha alcuna incidenza causale».
«Se invece diverge (assumendo le prove si sarebbe avuto un esito diverso) si potrà ritenere l’efficacia causale del fatto considerato (l’omissione da parte del difensore) nella misura della differenza tra il risultato controfattuale e il risultato reale».
«Questa differenza è impropriamente definita da alcuni come chance, e a volte dalla stessa giurisprudenza, ma in realtà è la misura del nesso causale. Il controfattuale, è intuitivo, non mira a stabilire la percentuale di probabilità di vincere la causa da parte del cliente (chance), ma mira a stabilire il corso ipotetico degli eventi in presenza della condotta doverosa, e dunque il nesso di causa tra la condotta alternativa lecita e l’evento».
Il ricorso di Beatrice viene pertanto respinto. A suo carico anche le spese di lite, liquidate nella misura di 3.200,00 euro, oltre 200,00 euro per spese vive.