Immobile pignorato locato dal proprietario debitore
Moreno cita Daniela davanti al tribunale di Salerno. Espone di essere custode giudiziario di un appartamento pignorato, che il debitore, dopo il pignoramento, ha locato a Daniela. Quest’ultima, avvisata dell’esistenza della procedura esecutiva immobiliare, ha iniziato a pagare i canoni al custode, anziché al debitore pignorato. Moreno chiede che sia dichiarata l’inefficacia e l’inopponibilità alla massa dei creditori del contratto di locazione avente ad oggetto l’appartamento, e che Daniela sia condannata al risarcimento del danno per illegittima occupazione in relazione al periodo in cui ha pagato il canone al debitore pignorato.
Il tribunale rigetta la domanda, ritenendo che Daniela abbia detenuto l’appartamento in buona fede.
Moreno propone appello, che viene rigettato dalla corte d’appello di Salerno. Sostiene la corte che dopo il pignoramento l’unico soggetto legittimato ad esercitare i diritti nascenti dal contratto di locazione, compresa la riscossione dei canoni di locazione, è il locatore custode. Tuttavia: la locazione stipulata dal proprietario è valida, anche se inopponibile alla massa dei creditori; Daniela ha ignorato in buona fede la pendenza della procedura esecutiva; considerato che il custode giudiziario si è surrogato al custode precedente del bene pignorato e che ha cominciato a riscuotere dalla conduttrice i canoni di locazione fino all’effettivo rilascio dell’immobile, Daniela non può essere ritenuta responsabile di aver cagionato un danno; il custode avrebbe dovuto rivolgere la propria domanda nei confronti dell’esecutato che, quale custode del bene, ne ha percepito indebitamente i frutti senza metterli a disposizione della procedura.
Moreno ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi, che la terza sezione della corte esamina congiuntamente nella sentenza numero 29491/19, depositata il 14 novembre 2019.
«La questione», dice la corte, «è se il custode giudiziario avesse titolo per agire risarcitoriamente nei confronti di un soggetto che deteneva l’immobile sulla scorta di un contratto di locazione inopponibile alla massa dei creditori e che asseriva di aver corrisposto il canone di locazione al locatore fino al momento in cui era venuto a conoscenza della procedura esecutiva».
Attraverso un accurato percorso argomentativo la corte giunge a queste conclusioni:
1) «l’inopponibilità della locazione non autorizzata dal giudice dell’esecuzione ex art. 560 c.p.c., comma 2, comportava che l’occupazione dell’immobile derivante da titolo non opponibile alla procedura integrava gli estremi di una situazione di illegittimità nei confronti della procedura»;
2) «tra i frutti e le rendite dell’immobile pignorato, cui il pignoramento si estende ai sensi dell’art. 2912 c.c., rientrano anche le domande aventi ad oggetto il risarcimento del danno […], ne conseguiva il pieno diritto del custode della procedura ad ottenere il pagamento della indennità di occupazione, atteso che, nei confronti della procedura, l’occupazione dell’immobile doveva considerarsi sine titulo»;
3) «il locatore che ha ricevuto i canoni è senz’altro tenuto a riversarli, quali frutti civili (art. 820 c.c.), al vero creditore, e cioè alla procedura che è legittimata ad agire nei suoi confronti ai sensi dell’art. 2033 c.c., allo scopo di recuperarli»;
4) «la opponibilità alla procedura esecutiva del pagamento in buona fede eseguito da D.M.A. implicava che l’occupante dell’immobile non potesse essere costretto ad un doppio corrispettivo per l’occupazione dell’immobile; di certo non poteva essere obbligata a pagare due volte per lo stesso titolo, inteso come rapporto di godimento del bene […]; nel senso che il custode non può pretendere il pagamento dei canoni di locazione ove si dimostri che l’occupante li aveva corrisposti in buona fede al creditore apparente; ove, però, il custode avesse provato di avere diritto ad una indennità di occupazione in misura non corrispondente al canone di locazione, perché maggiore, egli sarebbe stato legittimato ad agire per ottenere la differenza».
Nel caso di specie, invece, quando Daniela «ha pagato al custode dell’immobile oggetto della procedura esecutiva ha pagato ad un soggetto che ha accettato la somma ricevuta senza riserve di sorta in ordine alla sua corrispondenza a quanto spettantegli “in aggiunta” a titolo di indennità di occupazione e, quindi, deve ritenersi che il custode abbia riconosciuto la somma congrua e tacitativa di ogni spettanza».
Da ciò il rigetto del ricorso di Moreno, «perché tutto lo sforzo difensivo del ricorrente è proteso in maniera inconducente a insistere sulla inopponibilità della locazione al creditore e sull’errore commesso dal giudice di merito nell’ipotizzare un subentro del custode nel contratto di locazione; tali argomenti non scalfiscono, però, il nucleo motivazionale della sentenza impugnata incentrata, in sostanza, sul fatto che D.M.A. non dovesse essere obbligata a pagare una seconda volta allo stesso titolo».
Unica consolazione, per Moreno, la compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.