La banca è tenuta a pagare l'assegno circolare per tre anni dall'emissione
Nel 2009 Lucio Metello conviene dinanzi al tribunale di Roma la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., e, assumendo di essere portatore di quattro assegni circolari da essa emessi, per i quali è stata rifiutata la liquidazione, chiede che la convenuta sia condannata al pagamento della somma ad essi corrispondente, pari ad euro 1.263,98, oltre ai danni e alle spese.
Il tribunale adito dichiara la propria incompetenza per valore e rimette il giudizio dinanzi al giudice di pace di Roma, che rigetta la domanda con sentenza emessa nel 2013.
Lucio propone appello, reiterando la domanda di condanna della Banca e lamentando l’erroneità della sentenza «nella parte in cui non ha considerato che il comportamento della banca si apprezzerebbe come in violazione del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 82 [cosiddetta Legge sugli assegni], a mente del quale l’assegno circolare è un titolo di credito all’ordine emesso da un istituto di credito a ciò autorizzato dall’autorità competente, per somme che siano presso di esso disponibili al momento dell’emissione, e pagabili a vista presso tutti i recapiti comunque indicati dall’emittente».
Con sentenza pubblicata il 5 ottobre 2017, il tribunale di Roma rigetta l’appello, affermando che, ai sensi dell’art. 32 della Legge sugli assegni, la Banca ha correttamente declinato il pagamento, in attesa di ricevere l’autorizzazione allo stesso, avendo l’appellante portato i titoli all’incasso a quasi un anno di distanza dalla loro emissione.
L’art. 32 della Legge sugli assegni prevede che l’assegno bancario debba essere presentato al pagamento nel termine di otto giorni se è pagabile nello stesso Comune in cui fu emesso; di quindici giorni se pagabile in altro Comune della Repubblica.
Secondo il tribunale, tale previsione è da ritenersi applicabile anche per gli assegni circolari, secondo un criterio di ragionevolezza e proporzionalità.
Lucio Metello propone ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi. Banca Monte dei Paschi di Siena resiste con controricorso.
Il relatore propone di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
Il collegio tuttavia, ritiene di non condividere tale proposta, e accoglie il ricorso con ordinanza della VI sezione civile numero 11387/19, depositata il 30 aprile 2019.
Vediamo perché.
Per la corte «ha errato il giudice dell’appello che ha ritenuto che, ai sensi dell’art. 32 L. assegni, la Banca avesse correttamente, e in virtù di un principio di prudenza e ragionevolezza, declinato il pagamento in attesa di ricevere l’autorizzazione allo stesso avendo l’appellante portato i titoli all’incasso a quasi un anno di distanza dalla loro emissione.
Al contrario di quanto affermato dal giudice del merito, nel caso in cui un assegno circolare non sia stato effettivamente riscosso dal beneficiario, il diritto al rimborso della provvista da parte del richiedente l’emissione del titolo si prescrive nell’ordinario termine decennale, che decorre dal momento in cui esso può essere fatto valere, cioè dalla scadenza del termine di tre anni previsto dal R.D. n. 1736 del 1934, art. 84, entro cui si prescrive l’azione del beneficiario dell’assegno contro l’istituto bancario emittente, come è confermato dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 345 ter, che prevede il versamento degli assegni circolari non riscossi al Fondo per indennizzare i risparmiatori rimasti vittime di frodi finanziarie, soltanto dopo che sia scaduto il detto termine triennale».
«Infatti la disciplina dell’assegno, il R.D. n. 1736 del 1933, art. 84, comma 2, chiarisce che, riguardo agli assegni circolari, l’azione contro l’emittente istituto bancario si prescrive nel termine di tre anni dall’emissione. Mentre con riferimento all’assegno bancario, l’art. 32 prevede un termine assai stretto (otto giorni) per la presentazione dell’assegno stesso all’incasso, se pagabile nel medesimo comune in cui è stato emesso (termini più ampi, anche se sempre assai limitati, se il Comune è differente); dopo trascorso tale termine, l’intestatario dell’assegno può ordinare di non pagare la somma; in mancanza di tale ordine, l’assegno può comunque essere pagato anche successivamente (art. 35). Per struttura e caratteri l’assegno bancario si distingue nettamente da quello circolare che costituisce un titolo di credito all’ordine, emesso da un istituto di credito a ciò autorizzato dall’autorità competente, per un importo che sia disponibile presso di esso al momento della emissione, e pagabile a vista presso tutti i recapiti indicati dall’emittente (Cass. n. 5889/2018). Deve dunque escludersi una applicazione analogica degli artt. 32 e 35 all’assegno circolare. Va ancora precisato che la L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 343 – 345, ha costituito un Fondo per indennizzare le vittime di frodi finanziarie, alimentato tra l’altro dall’importo di conti correnti e rapporti bancari “dormienti”. Assai significativamente l’art. 1, comma 345 ter, precisa che gli importi degli assegni circolari non riscossi entro il termine di prescrizione del relativo diritto di cui al R.D. n. 1736 del 1933, art. 84, comma 2, sono versati al Fondo entro il 31 maggio dell’anno successivo a quello in cui scade il termine di prescrizione. Aggiunge che resta impregiudicato il diritto del richiedente l’emissione dell’assegno circolare non riscosso alla restituzione del relativo importo. Proprio le caratteristiche suindicate dell’assegno circolare configurano il rapporto tra il titolare dell’assegno stesso e l’istituto bancario, come mandato (al riguardo, Cass. N. 11961 del 2003). È indubbio che il mandato sia sempre revocabile (art. 1722 c.c. ss.) e se revoca del mandato vi fosse, è da ritenere che il diritto alla restituzione potrebbe essere fatto valere, pur pendendo il termine triennale per l’azione cartolare del beneficiario (e dalla revoca decorrerebbe la prescrizione decennale): non vi è prova alcuna che sia stata disposta nel caso di specie tale revoca. Una volta trascorso il termine triennale, il beneficiario non può più ottenere il pagamento dell’assegno e a quel punto il richiedente l’assegno stesso potrà ripetere la provvista (senza necessità di revocare il mandato che è oggettivamente venuto meno). Dallo spirare del triennio decorre quindi la prescrizione del diritto».
Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, al tribunale di Roma in diversa composizione.