Il contributo al mantenimento dell'ex coniuge può essere richiesto in un giudizio autonomo
Sandro propone davanti al tribunale di Catanzaro una causa di divorzio nei confronti di Nilde, moglie dalla quale è separato.
Nilde in un primo tempo resta contumace. Successivamente si costituisce in giudizio e aderisce alla domanda di divorzio, chiedendo altresì che sia posto a carico di Sandro un contributo mensile al suo mantenimento.
Quest’ultima domanda viene dichiarata inammissibile, in quanto tardiva, dal tribunale, che si limita a dichiarare lo scioglimento del matrimonio.
Passata in giudicato la sentenza, Nilde propone un ricorso al medesimo tribunale ai sensi dell’articolo 9 della legge sul divorzio, riguardante «la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere».
La domanda viene rigettata dal tribunale, il quale osserva che tale disposizione prevede che la revisione possa essere disposta «quando sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio». La domanda di contributo è stata proposta da Nilde sul presupposto del mancato svolgimento di un’attività lavorativa, già sussistente all’epoca in cui ella aveva proposto la domanda nella causa di divorzio, dichiarata inammissibile. Non si tratta, pertanto, di un fatto sopravvenuto, sul quale possa essere fondata la domanda di revisione.
Nilde propone reclamo alla corte d’appello di Catanzaro, che conferma la decisione del tribunale.
Convinta della bontà delle sue ragioni, Nilde si rivolge alla corte di cassazione e ottiene giustizia dalla prima sezione civile di essa, che si pronuncia sul ricorso con sentenza numero 17102/19, depositata il 26 giugno 2019.
La corte osserva che si tratta «di stabilire se l’introduzione della domanda di assegno divorzile resti, ed a quali condizioni, subordinata alla “sopravvenienza di giustificati motivi” propri del giudizio di modifica delle condizioni di divorzio di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, là dove per la prima volta proposta».
Questi sono i passaggi che conducono all’accoglimento del ricorso di Nilde:
«La giurisprudenza di legittimità si è da tempo espressa nel senso che la domanda di corresponsione di un assegno periodico di divorzio ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, ha carattere autonomo rispetto a quella di scioglimento del matrimonio e, pertanto, ove non ritualmente avanzata può essere proposta in un successivo giudizio, senza che a ciò sia di ostacolo l’intervenuta pronuncia di scioglimento del vincolo.
Il tema, connesso alla portata da riconoscersi al principio per il quale il giudicato copre il dedotto ed il deducibile là dove si tratti del rapporto tra domanda di divorzio e di riconoscimento dell’assegno divorzile, resta compiutamente declinato nell’affermazione di questa Corte di legittimità per la quale “la richiesta di corresponsione dell’assegno periodico di divorzio di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, si configura come domanda (connessa ma) autonoma rispetto a quella di scioglimento del matrimonio, e, pertanto, la parte che, nel corso del giudizio divorzile, non l’abbia ritualmente avanzata ben può proporla successivamente, senza che, a ciò, sia di ostacolo la (ormai intervenuta) pronuncia di scioglimento del vincolo di coniugio, operando il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile con esclusivo riferimento alla domanda fatta valere in concreto, ma non anche relativamente ad una richiesta diversa nel petitum e nella stessa causa petendi (come appunto, quella di riconoscimento dell’assegno rispetto a quella di divorzio), che la parte ha facoltà di introdurre, o meno, nello stesso giudizio”».
[…]
«Quale corollario dell’indicato principio si pone l’ulteriore affermazione per la quale, là dove la domanda di riconoscimento dell’assegno di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, venga proposta successivamente al giudizio di divorzio, le condizioni per il suo accoglimento restano quelle stabilite dall’art. 5 della legge cit. né la scelta del rito predisposto per la modificazione dell’assegno di divorzio di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, comporta che le condizioni previste per tale modificazione siano applicabili anche nella ipotesi in cui l’assegno di divorzio sia domandato per la prima volta».
[…]
«In sede di accertamento sullo status non si è formato un giudicato sul carattere non dovuto dell’assegno e tanto non perché la domanda non fosse stata proposta, ma perché, proposta, essa è stata dichiarata inammissibile per tardività.
L’odierna ricorrente che aveva manifestato, esercitando la relativa azione, la propria volontà di richiedere l’assegno, per ragioni di mero rito non ha ottenuto pronuncia sul merito sicché non risulta applicabile alla specie il modello processuale di cui all’art. 9, legge divorzio, nella parte in cui assoggetta le domande di revisione sui contributi di cui agli artt. 5 e 6, a sopravvenuti giustificati motivi; la norma prevede, infatti, la pregressa adozione, nel merito, di una decisione economica. Deve, pertanto, escludersi la formazione del giudicato sull’assegno in relazione alla declaratoria d’inammissibilità relativa alla domanda di assegno divorzile».
Perciò la corte cassa il provvedimento impugnato e rispedisce le parti davanti alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione, alla quale prescrive di attenersi al seguente principio di diritto: «La declaratoria d’inammissibilità della domanda volta al riconoscimento dell’assegno di divorzio proposta nel giudizio relativo allo scioglimento del vincolo, non ne limita la proponibilità in separato giudizio, L. n. 898 del 1970, ex art. 9, pur in mancanza di fatti sopravvenuti, trattandosi di pronuncia inidonea alla produzione del giudicato perché impediente in rito l’esame del merito della domanda».