Il promittente venditore non può tacere la provenienza da donazione del bene promesso
Dario chiama in giudizio Bruna davanti al tribunale locale.
Espone di avere stipulato con lei un contratto preliminare per la vendita di un capannone ad uso artigianale, e di aver versato a titolo di caparra confirmatoria la somma di 50.000,00 euro.
Denuncia, tra l’altro, di avere poi appreso che il bene oggetto della promessa era pervenuto alla promittente da donazione dei genitori, il che espone il donatario e i suoi aventi causa al rischio di riduzione da parte dei legittimari dei donanti. Se avesse saputo di tale provenienza non avrebbe stipulato il contratto, essendosi determinato all’acquisto con finalità speculative.
Chiede pertanto che sia pronunciato l’annullamento del contratto, con la condanna della convenuta a restituire il doppio della caparra.
In via subordinata chiede che si accerti che egli ha esercitato legittimamente il diritto di recesso ai sensi dell’art. 1385 cc; in ulteriore subordine chiede che sia disposta la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte. In tutti i casi con la condanna della convenuta al risarcimento del danno.
Il tribunale rigetta la domanda di Dario e accoglie la domanda riconvenzionale di Bruna, riconoscendo il suo diritto di trattenere la caparra.
Il giudice di primo grado nega che la provenienza da donazione comporti di per sé un pericolo di rivendica ai sensi dell’art. 1481 del codice civile (Il compratore può sospendere il pagamento del prezzo, quando ha ragione di temere che la cosa ho una parte di essa possa essere rivendicata da terzi, salvo che il venditore presti idonea garanzia. / Il pagamento non può essere sospeso se il pericolo era noto al compratore al momento della vendita).
Quella stessa provenienza, inoltre, non fa sì che la cosa possa dirsi gravata da diritti reali, personali ed oneri che ne limitino il godimento ex art. 1489 cc (Se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo).
La corte d’appello conferma la sentenza, condividendo la valutazione del primo giudice in merito al fatto che il silenzio sulla provenienza da donazione del bene promesso in vendita non integri dolo contrattuale.
Alla ricerca di un’ulteriore chance, Dario si rivolge alla corte di cassazione, che gliela concede con la sentenza della seconda sezione civile numero 32694/19, depositata il 12 dicembre 2019.
La corte, per la parte che qui rileva, ribadisce anzitutto la sua costante giurisprudenza, secondo la quale il semplice fatto che un bene immobile provenga da donazione e possa essere teoricamente oggetto di una futura azione di riduzione per lesione di legittima non comporta l’esistenza di un pericolo effettivo di rivendica. Pertanto il compratore non può, invocando l’articolo 1481 del codice civile, sospendere il pagamento del prezzo o pretendere la prestazione di una garanzia.
Questo, tuttavia, non risolve ogni problema, in quanto «la mancanza di un pericolo concreto ed effettivo di rivendica da parte del legittimario non è […] argomento sufficiente per negare al promissario, ignaro della provenienza, la facoltà di rifiutare la stipula del definitivo avvalendosi del rimedio generale dell’art. 1460 c.c» (Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. / Tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede).
Per la corte «non si può negare a priori che già il rischio teorico che l’acquirente possa trovarsi un giorno esposto alla pretesa del legittimario, con i correlativi impedimenti alla circolazione del bene che da subito quel rischio si porta dietro, possa rappresentare, nelle singole situazioni concrete, un elemento idoneo a pregiudicare la conformità del risultato traslativo attuabile con il definitivo rispetto a quello programmato con il preliminare».
Perciò la corte cassa la sentenza impugnata e rispedisce le parti davanti al giudice di appello, al quale assegna il compito di «valutare la legittimità del rifiuto del promissario in applicazione del seguente principio:
“In tema di preliminare di vendita, la provenienza del bene da donazione, anche se non comporta per sé stessa un pericolo concreto e attuale di perdita del bene, tale da abilitare il promissario ad avvalersi del rimedio dell’art. 1481 c.c., è comunque circostanza influente sulla sicurezza, la stabilità e le potenzialità dell’acquisto programmato con il preliminare. In quanto tale essa non può essere taciuta dal promittente venditore, pena la possibilità che il promissario acquirente, ignaro della provenienza, possa rifiutare la stipula del contratto definitivo, avvalendosi del rimedio generale dell’art. 1460 c.c., se ne ricorrono gli estremi”».