La privacy attiene alle persone, non alle cose
Con ricorso notificato il 13 luglio 2018 i coniugi Rossi ricorrono per la cassazione di una sentenza resa nei confronti della società S, con la quale è stata confermata la sentenza di rigetto della loro domanda tesa a ottenere il ristoro del danno non patrimoniale subito per la pubblicazione di immagini (foto) ottenute dall’impresa allorché era stata incaricata di rifare gli infissi della loro villa, deducendo l’abusiva pubblicazione di foto, sul catalogo pubblicitario dell’impresa, che ritraevano la loro abitazione, ledendo il diritto alla riservatezza.
Il giudice d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, la riforma parzialmente nella sola motivazione, considerando che: 1) contrariamente a quanto indicato dal giudice di primo grado, sussisteva un rapporto contrattuale tra le parti, ma la sussistenza di un rapporto contrattuale per l’esecuzione di opere, in mancanza di una specifica pattuizione tra le parti, non comporta il divieto di realizzare foto, da pubblicare eventualmente a scopi pubblicitari, in quanto da parte della parte contraente deve essere espresso il divieto di fotografare, anche a fini pubblicitari, le opere realizzate; 2) sotto il diverso profilo della responsabilità extracontrattuale l’appello è inammissibile in quanto il diritto alla riservatezza si configura come specificazione del diritto alla intimità privata, inteso come esigenza dell’uomo al godimento pieno ed esclusivo dell’intimità della persona e delle proprie azioni, laddove il bene che il soggetto intende tutelare non si trova al di fuori di lui ma inerisce alla persona medesima nella sua individualità fisica o esigenza morale e sociale, mentre nel caso in esame manca qualsiasi collegamento tra la riproduzione fotografica e la persona dei coniugi, trattandosi di foto neutre, raffiguranti le sole caratteristiche e qualità tecniche del prodotto fornito e installato; 3) la critica degli appellanti si fonda invece sulla riproposizione di principi giurisprudenziali senza alcun adattamento al caso concreto, anche nel formulare l’ipotesi del reato di interferenze illecite nella vita privata; 4) quanto al reato de quo difetta pure l’elemento costitutivo dell’indebita intrusione, dal momento che le fotografie sono state scattate in occasione dei lavori dalla società che li ha realizzati e che quindi aveva pieno diritto all’accesso all’immobile.
I coniugi Rossi ricorrono per cassazione contro la sentenza d’appello, sulla base di tre motivi.
La società S non si costituisce nel giudizio di cassazione.
La terza sezione civile della corte di cassazione decide con ordinanza numero 27613/19, depositata il 29 ottobre 2019.
I primi due motivi sono dichiarati dalla corte «del tutto inammissibili con riguardo alla motivazione resa in tema di illecito extracontrattuale».
Merita attenzione l’esame del terzo motivo, col quale «viene denunciato che la mancata acquisizione del preventivo consenso allo scatto delle fotografie all’interno della privata abitazione e alla loro divulgazione integra la violazione di obblighi contrattuali, dovendo essere la condotta del contraente (il prestatore d’opera) improntata ai principi di correttezza e buona fede che impongono doveri di avviso o comunicazioni, di custodia o di sicurezza in riferimento a scatti nelle private dimore di cui un soggetto ha avuto accesso per eseguire una prestazione contrattuale».
Il motivo viene ritenuto infondato dalla corte, che osserva:
«Oggetto della normativa sulla privacy, qui specificamente in questione (v. D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 1 – Codice in materia di protezione dei dati personali), sono i “dati personali”, che ineriscono a qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata od identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale. Costituiscono sempre dati personali quelli che riguardano la famiglia e altre situazioni personali, il lavoro, le attività economiche, commerciali, finanziarie ed assicurative, i beni, le proprietà e i possessi. Il dato è quindi un bene giuridico di secondo livello, un “contenitore vuoto” all’interno del quale si pone uno specifico contenuto che – se è personale – è relativo al patrimonio informativo dell’interessato».
«Conseguentemente, la ritenuta “neutralità” del contenuto dei dati acquisiti senza il consenso della parte committente di una prestazione d’opera, dai quali non si desumano riferimenti alla vita privata o ai beni personali, ma solo alle caratteristiche estetiche e tecniche del manufatto eseguito dell’esecutore dell’opera, esclude che nella condotta assunta, in assenza di preventivo consenso dell’avente diritto, possa ravvedersi una violazione degli obblighi di salvaguardia degli interessi e diritti altrui. Nè tantomeno è ravvisabile una violazione del diritto alla privacy, all’immagine o della proprietà altrui nel comportamento di chi, nel proprio personale interesse, acquisisca dati contenenti immagini del proprio manufatto che, se anche riferite a parte del mobilio o degli ambienti in cui esso si inserisce, si dimostrino prive di contenuto personale riferito al committente dell’opera».
Da qui il rigetto del ricorso. I coniugi Rossi evitano la condanna alla rifusione delle spese di lite in favore della società S, in conseguenza della mancata costituzione in giudizio di quest’ultima.