Gli obblighi informativi dell'intermediario finanziario
Con atto di citazione del 15 settembre 2004 sei persone fisiche (che d’ora in avanti chiamerò Clienti) citano la Banca I davanti al tribunale di Firenze. Chiedono l’accertamento della nullità e/o inefficacia e/o annullabilità dei contratti di acquisto di obbligazioni P da loro conclusi (investimento rivelatosi fallimentare) e la condanna della Banca convenuta alla restituzione delle somme impiegate per l’acquisto dei titoli, oltre che al risarcimento dei danni, lamentando un comportamento dell’intermediario non conforme al parametro di specifica diligenza richiesto dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23 (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria: TUF).
In particolare, gli attori deducono di aver subito vere e proprie sollecitazioni all’investimento da parte dei dipendenti della Banca convenuta, che avevano loro evidenziato la natura particolarmente vantaggiosa delle operazioni proposte; lamentano la mancata consegna del contratto di intermediazione, del prospetto informativo e di un documento sui rischi connessi alle operazioni finanziarie; sostengono di non essere stati informati né dell’alto rischio insito nell’operazione, né di altri fatti rilevanti per valutare la convenienza dell’investimento.
La Banca I si costituisce in giudizio chiedendo il rigetto della domanda e sostenendo che gli acquisti effettuati dagli attori sono stati il frutto di una loro scelta consapevole e di aver correttamente adempiuto a tutti gli obblighi informativi a suo carico.
Con sentenza del 25 settembre 2009 il tribunale accoglie le domande proposte dagli attori, ritenendo che la Banca sia stata inadempiente agli obblighi informativi gravanti a suo carico, con la conseguente risoluzione per inadempimento dei contratti di intermediazione finanziaria; condanna la Banca a pagare agli attori somme corrispondenti a quelle impiegate per l’acquisto dei titoli; nega però il risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria e dei danni ulteriori.
Su appello della Banca I, la corte d’appello di Firenze, con sentenza del 3 agosto 2015, rigetta tutte le domande proposte dagli attori e condanna questi ultimi a restituire quanto percepito in forza della sentenza di primo grado, con interessi legali dal pagamento, a spese compensate per l’intero giudizio.
A detta della corte, gli investimenti in precedenza effettuati dai Clienti in strumenti speculativi e rischiosi, come azioni e obbligazioni strutturate convertibili, è idonea a prova l’assenza di nessuno causale tra i comportamenti attribuiti alla Banca e i danni subiti dagli attori.
I Clienti propongo ricorso per cassazione, sulla base di sette motivi.
La prima sezione civile della corte decide su di esso con sentenza numero 7905/20, depositata il 17 aprile 2020.
Viene accolto il quarto motivo, col quale i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 21 e art. 23, comma 6, TUF, artt. 26, 28 e 29 Reg. Consob 11522/1998 con riferimento al nesso causale, violazione dell’art. 115 c.p.c., ed errata valutazione delle prove.
A detta dei ricorrenti, secondo la giurisprudenza di legittimità, in caso di inadempimento degli obblighi informativi, deve presumersi, fino a prova del contrario da parte dell’intermediario, che il rischio sottaciuto non sarebbe stato corso dal cliente ove fosse stato debitamente informato; la corte d’appello ha invece sovvertito tale distribuzione degli oneri probatori, dando rilievo al fatto che uno dei Clienti avesse in precedenza investito in titoli azionari, che alcuni di essi avessero in precedenza investito in titoli di pari rischio, che altri avessero in precedenza investito più in titoli azionari che obbligazionari e che altri, pur avendo acquistato solo obbligazioni, avessero manifestato alta propensione al rischio.
La corte premette che secondo la sua giurisprudenza ormai consolidata, «in conformità alla regola generale stabilita dall’art. 1218 c.c. e ai principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, l’investitore, che lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, deve allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante una sintetica ma circostanziata indicazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrargli, e deve fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole, se fosse stato adeguatamente informato; incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute».
Ad avviso della corte, il giudice di appello ha sbagliato sotto due profili: «ha ignorato la funzione specifica dell’obbligo posto a carico dell’intermediario, preordinato a colmare l’handicap informativo e la dissimmetria consequenziale nelle cognizioni delle parti e in tal modo a consentire all’investitore una scelta consapevole e razionale»; «ha erroneamente attribuito capacità indiziante a circostanze del tutto prive di valore inferenziale, successivamente utilizzate ai fini del giudizio controfattuale presuntivo; ciò l’ha condotta a ritenere che se l’intermediario avesse fornito le opportune informazioni, diversamente da quanto accaduto nella realtà, i clienti avrebbero comunque deciso di effettuare lo stesso investimento che, pur non adeguatamente informati, hanno scelto di fare».
Secondo la corte «l’obbligo positivo specifico di provare il puntuale adempimento degli obblighi informativi a carico dell’intermediario sarebbe sostanzialmente vanificato se si ritenesse che verso un investitore impropriamente qualificato “speculativo” l’intermediario sia esonerato dal fornire le informazioni relative al grado di rischio di perdita del capitale derivante dalla tipologia specifica del prodotto proposto ed acquistato. Al contrario, si deve ritenere che il grado di rischio sia direttamente proporzionale al livello di puntualità delle informazioni».
Richiamando il proprio costante orientamento, la corte afferma che «al riscontro dell’inadempimento degli obblighi di corretta informazione consegue […] l’accertamento in via presuntiva del nesso di causalità tra il detto inadempimento e il danno patito dall’investitore; presunzione che spetta all’intermediario superare, dimostrando che il pregiudizio si sarebbe comunque concretizzato quand’anche l’investitore avesse ricevuto le informazioni omesse».
«Nella fattispecie, la Corte di appello ha considerato erroneamente quale elemento indiziante, dotato di efficacia inferenziale, le scelte pregresse di investimento degli investitori, consistite – del tutto genericamente – nell’acquisto di prodotti intrinsecamente caratterizzati da elementi di rischiosità, come azioni o obbligazioni convertibili strutturate.
Tale comportamento, al contrario, non dimostra altro che una generica disponibilità dell’investitore ad accollarsi margini di rischio e ad accettare la possibilità del mancato recupero del capitale investito; le predette circostanze sono invece neutre, o comunque insufficienti, nella prospettiva del giudizio controfattuale alternativo che richiede di determinare il presumibile ipotetico comportamento dell’investitore che fosse stato opportunamente avvertito dei rischi connessi all’investimento con riferimento al rischio specificamente corso nel caso concreto. Altrettanto inconsistente – ed anzi ancor più generica – appare la valenza indiziante desunta dal profilo di propensione al rischio manifestata dall’investitore.
La prova contraria consentita all’intermediario ai fini del giudizio controfattuale deve infatti assumere pregnante concretezza, come, a mero titolo esemplificativo, la dimostrazione che in altra successiva occasione, l’investitore, invece debitamente avvertito del rischio, abbia deciso comunque di disporre un investimento analogamente rischioso».
Segue la formulazione di questo principio di diritto: «Dalla funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario, preordinato al riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati».
L’accoglimento del quarto motivo del ricorso comporta la cassazione della sentenza di appello, con rinvio alla corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.