Ha diritto al compenso anche l’avvocato negligente che non fa danni
La società S si avvale del patrocinio dell’avvocato F in un giudizio volto ad ottenere il riconoscimento, nei confronti della propria società di assicurazione, dell’indennizzo derivante da un furto subito nel proprio esercizio commerciale.
La domanda viene respinta, sul rilievo che la prova necessaria al suo accoglimento è stata dal difensore tardivamente prodotta e che il richiamo al contratto di assicurazione avrebbe dovuto essere compiuto con la memoria di cui all’art. 183 comma 6 del codice di procedura civile, trattandosi di una precisazione della domanda.
A seguito dell’esito negativo di tale causa, la società S conviene in giudizio l’avvocato F davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che sia condannato al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità professionale per le manchevolezze a lui riconducibili nello svolgimento dell’attività difensiva, nonché per ottenere il riconoscimento di nulla dovere versare al professionista per l’attività svolta.
Costituitosi in giudizio il convenuto, il tribunale rigetta la domanda.
La pronuncia vien impugnata dalla società soccombente davanti alla corte d’appello di Roma, la quale con sentenza del 20 aprile 2018, in parziale riforma di quella di primo grado, dichiara che la società appellante nulla deve all’avvocato F a titolo di onorari professionali e condanna il professionista alla rifusione della somma di euro 2.598,40 a titolo di esborsi sostenuti, nonché al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
A detta della corte, l’appello è fondato nella parte in cui imputa al difensore l’omessa formulazione dei capitoli di prova in relazione alle specifiche modalità del furto, omissione che integra gli estremi della negligenza professionale. In relazione, però, alla quantità ed al valore della merce rubata, pur avendo l’avvocato F omesso di chiedere una prova specifica, la società S neppure nel giudizio di appello ha «capitolato apposite circostanze o depositato documenti atti a supportare il lamentato danno». Ciò nonostante, secondo il giudice di appello merita accoglimento il motivo di impugnazione relativo all’accertamento negativo del credito professionale ed agli esborsi sostenuti in dipendenza del rigetto della domanda proposta contro la società di assicurazione, somma quest’ultima da ritenere dovuta in quanto collegata all’accertato inadempimento professionale.
Contro la sentenza della corte d’appello ricorre per cassazione l’avvocato F, con atto affidato a tre motivi.
La società S non svolge attività difensiva davanti alla suprema corte.
Col primo motivo il ricorrente lamenta che il giudice di appello abbia ritenuto sussistente la sua responsabilità professionale nonostante non vi fosse un nesso di causalità tra il suo comportamento omissivo ed il rigetto della domanda contro la società di assicurazione.
Col secondo motivo l’avvocato F censura la sentenza impugnata per avere ritenuto inesistente il suo diritto al pagamento del compenso professionale, pur avendo escluso l’esistenza di una negligenza tale da causare il danno lamentato.
Col terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta di essere stato condannato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio pur in presenza di un accoglimento molto limitato della domanda e, quindi, di una sostanziale reciproca soccombenza.
Sul ricorso si pronuncia la sesta sezione civile della corte di cassazione, con ordinanza numero 25464/20, depositata il 12 novembre 2020.
Secondo la corte i primi due motivi, trattati congiuntamente, sono fondati:
«Costituisce acquisizione pacifica nella giurisprudenza di questa Corte, alla quale l’odierna pronuncia intende dare continuità, il principio per cui l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. può essere opposta dal cliente all’avvocato che abbia violato l’obbligo di diligenza professionale, purché la negligenza sia idonea a incidere sugli interessi del primo, non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole del giudizio ed essendo contrario a buona fede l’esercizio del potere di autotutela ove la negligenza nell’attività difensiva, secondo un giudizio probabilistico, non abbia pregiudicato le possibilità di vittoria (v. le sentenze 5 luglio 2012, n. 11304, 15 dicembre 2016, n. 25894, e 22 marzo 2017, n. 7309). Ancora più di recente, poi, si è ribadito che “nell’ipotesi in cui un’azione giudiziale svolta nell’interesse del cliente non abbia potuto conseguire alcun risultato utile, anche a causa della negligenza o di omissioni del professionista, non è solo per questo ravvisabile un’automatica perdita del diritto al compenso da parte del professionista, ove non sia dimostrata la sussistenza di una condotta negligente causativa di un effettivo danno, corrispondente al mancato riconoscimento di una pretesa con tutta probabilità fondata” (ordinanza 21 giugno 2018, n. 16342)».
«La Corte d’appello non ha fatto buon governo di tali principi perché, mentre da un lato ha riconosciuto la sostanziale irrilevanza delle negligenze imputate all’avv. F. – sul rilievo che la società appellata non aveva in alcun modo precisato, neppure in appello, quale fosse l’entità del danno realmente subito – ha poi, contraddittoriamente, negato il diritto del professionista al compenso; condannando per di più il medesimo alla rifusione della somma di Euro 2.598,40 (probabilmente pari alla condanna alle spese subita dalla società S.N. nel giudizio patrocinato dall’avv. F. ). Ne consegue che, data l’ininfluenza delle negligenze, la Corte di merito avrebbe dovuto indagare in modo chiaro e preciso sulle ragioni per le quali ha negato il diritto al compenso professionale, apparendo l’eccezione di inadempimento impropriamente applicata».
In conclusione, vengono accolti il primo ed il secondo motivo, con assorbimento del terzo.
La sentenza impugnata viene cassata e il giudizio rinviato alla corte d’appello di Roma in diversa composizione, affinché riesamini la questione alla luce delle indicazioni contenute nell’ordinanza della cassazione.