Il comodato non può essere sine die
Con sentenza del 21 marzo 2019 la corte d’appello di Palermo conferma la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da Roberto e Valerio per la condanna della società C al rilascio di taluni beni immobili di proprietà degli attori, asseritamente detenuti sine titulo dalla società convenuta.
La corte evidenziato come, sulla base delle stesse prospettazioni degli attori, fosse emersa la sussistenza di una detenzione qualificata degli immobili de quibus da parte della società convenuta, nella specie giustificata dal presumibile comodato intercorso tra gli originari comproprietari di detti immobili (tra i quali gli originari attori, divenuti proprietari esclusivi solo a seguito di una divisione successivamente intercorsa tra tutti gli interessati) e la stessa società; al riguardo, la circostanza che gli originari comodanti avessero concesso l’utilizzazione degli immobili de quibus per le finalità commerciali della società convenuta era valsa a dotare detto comodato di un implicito termine di durata, corrispondente alla soddisfazione delle finalità proprie per le quali l’immobile era stato destinato, con la correlativa esclusione del carattere precario di tale comodato e la conseguente radicale infondatezza dell’originaria domanda degli attori.
Contro la sentenza d’appello, Roberto e Valerio propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione. La società C resiste con controricorso.
Il ricorso viene assegnato alla sesta sezione civile della corte, che decide su di esso con ordinanza numero 22309/20, depositata il 15 ottobre 2020.
Viene ritenuto manifestamente fondato il secondo motivo del ricorso, col quale i ricorrenti lamentano che la corte d’appello abbia erroneamente ritenuto dimostrata la sussistenza di un comodato con determinazione implicita di termine a fondamento della detenzione della controparte, in assenza di alcun elemento di prova idoneo a giustificarla:
«… secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la circostanza che un immobile concesso in comodato sia destinato a una specifica attività non è sufficiente per ritenere il relativo contratto soggetto a un termine implicito, sicché il comodante può domandare la restituzione del bene prima della cessazione di tale attività (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 24468 del 18/11/2014, Rv. 633360 – 01); in particolare, l’apposizione al comodato d’un termine derivante dall’uso cui la cosa è destinata non può ravvisarsi nel solo fatto che nell’immobile si svolga una determinata attività (commerciale o di altro tipo), per la semplice ragione che tale attività potrebbe non avere alcun termine prevedibile, nel qual caso il comodato sarebbe di fatto sine die; conclusione, quest’ultima, che snaturerebbe la causa del contratto (espropriando di fatto il comodante), prospettandosi in termini insostenibili sul piano logico, poiché condurrebbe all’irragionevole conclusione che un comodato di immobili destinato ad attività che vi si svolgono sine die, sarebbe pur esso sine die; peraltro, poiché la destinazione d’uso di un immobile dipende dalla volontà del comodatario (e poiché non può concepirsi che un immobile non abbia una destinazione d’uso, sia pure solo di svago), a seguire il ragionamento della corte d’appello la durata di ogni comodato finirebbe per essere rimessa alla volontà mera del comodatario; le conclusioni che precedono sono state già più volte affermate da questa Corte: pacifico, in particolare, è il principio secondo cui il termine dei comodato può risultare dall’uso cui la cosa deve essere destinata solo “se tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo”; in mancanza, invece, di particolari prescrizioni di durata, ovvero di elementi certi ed oggettivi che consentano ab origine di prestabilirla, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile configura un comodato a tempo indeterminato e, perciò, a titolo precario, e, dunque, revocabile ad nutum da parte del comodante, a norma dell’art. 1810 c.c. (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15877 del 25/06/2013, Rv. 626917 – 01; Sez. U, Sentenza n. 3168 del 09/02/2011, Rv. 616064 – 01); nel caso di specie, la corte territoriale ha erroneamente rilevato come l’utilizzazione degli immobili originariamente attribuiti alla disponibilità della società convenuta non potesse derivare che da un comodato ‘di scopo’, derivando tale ultima conclusione dalla sola premessa dell’avvenuta destinazione di tali beni a sede della società, senza tuttavia corroborare l’ipotesi formulata mediante l’allegazione di alcun ulteriore elemento idoneo a confermare come tale uso avesse in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo; sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del secondo motivo d’impugnazione (disatteso il primo), dev’essere pronunciata la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità».