Contratto di assicurazione nullo per assenza del rischio
Nel 2007 Francesco conviene il Comune di Viterbo davanti al tribunale omonimo.
Espone che: esercita l’attività di commercio di oggetto di antiquariato; il 27 giugno 2006 un locale in cui custodiva le proprie merci è stato allagato, in conseguenza della rottura delle tubazioni di scarico di una fontana comunale; l’allagamento ha danneggiato oggetti di valore di sua proprietà. Conclude pertanto chiedendo la condanna del Comune al risarcimento del danno.
Il Comune di Viterbo si costituisce in giudizio contrastando la domanda di Francesco e chiamando in causa il proprio assicuratore per la responsabilità civile, la società A.
La società A si costituisce in giudizio negando la responsabilità del proprio assicurato ed eccependo comunque l’inoperatività della polizza.
Con sentenza del 22 gennaio 2014 il tribunale di Viterbo accoglie sia la domanda di Francesco sia quella di garanzia formulata dal Comune di Viterbo nei confronti del proprio assicuratore.
La sentenza viene appellata da tutte le parti.
Con sentenza del 31 agosto 2020 la corte d’appello di Roma: accoglie l’appello di Francesco incrementando l’ammontare del risarcimento liquidato dal tribunale; accoglie l’appello della società A, rigettando la domanda di garanzia formulata nei suoi confronti dal Comune di Viterbo.
Quest’ultima statuizione viene giustificata con due ragioni: la polizza copriva i danni causati da acquedotti e rete fognaria, mentre nel caso di specie il danno è stato provocato da un difetto di manutenzione di tubazioni e pluviali; la polizza prevede la copertura dei soli danni causati dall’assicurato a terzi «in conseguenza di un fatto accidentale».
La sentenza di appello viene impugnata per cassazione dal Comune di Viterbo con ricorso fondato su quattro motivi ed illustrato da memoria.
La società A resiste con controricorso.
Il ricorso è assegnato alla sesta sezione civile della corte, che decide con ordinanza n. 23762 del 29 luglio 2022 (presidente Sconditti, relatore Rossetti).
Col primo motivo il Comune di Viterbo lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 del codice di procedura civile, la violazione di varie norme sulla interpretazione dei contratti, nonché dell’art. 1917 del codice civile.
Il Comune espone di avere stipulato con la società A un contratto di assicurazione della responsabilità civile che potesse derivare all’amministrazione comunale, tra l’altro, dalla proprietà e manutenzione di acquedotti, tubazioni e condutture, e che in virtù di tale contratto la compagnia assicuratrice si è obbligata «a tenere indenne l’assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare quale civilmente responsabile ai sensi di legge a titolo di risarcimento di danni involontariamente cagionati a terzi […] in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi in relazione all’esercizio di attività di competenze istituzionalmente previste».
Deduce il Comune che la corte d’appello ha interpretato tale clausola nel senso che per effetto di essa dovevano ritenersi compresi nella copertura assicurativa i soli danni «in alcun modo riferibili ad un comportamento negligente riferibile all’assicurato», e che tale interpretazione viola — tra le altre — due regole di ermeneutica legale dei contratti: le regola dell’interpretazione utile, in quanto la soluzione adottata dalla corte d’appello svuoterebbe del tutto il contenuto della garanzia; e la regola della interpretatio contra proferentem, in quanto, anche a volere ritenere dubbia l’interpretazione della clausola sopra trascritta, proprio per questa ragione essa si sarebbe dovuta interpretare in senso sfavorevole al predisponente, cioè l’assicuratore.
Tale motivo viene ritenuto fondato dalla corte, con questa motivazione esemplare:
«Il rischio che forma l’oggetto dell’assicurazione di responsabilità civile è un perimetro al di fuori del quale stanno, da un lato, i fatti dolosi per espressa previsione di legge (art. 1900 c.c.); e dall’altro i fatti dovuti al caso fortuito, perché da essi non può mai sorgere alcuna responsabilità».
«Ora, l’aggettivo “accidentale” secondo il più autorevole dizionario etimologico della lingua italiana vuol dire “dovuto al caso, casuale, fortuito; contingente, non necessario, non essenziale; secondario, accessorio” (così Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, vol. I, Torino 1961, ad vocem, 82)».
«Dunque “fatto accidentale”, per la lingua italiana, non è che un sinonimo di “fatto fortuito”».
«Ma una assicurazione della responsabilità civile che descrivesse il rischio assicurato limitandolo ai casi fortuiti sarebbe una assicurazione senza rischio, e perciò nulla ex art. 1895 c.c., giacché da un caso fortuito mai nessuna responsabilità dell’assicurato potrebbe sorgere».
«L’interpretazione adottata dalla Corte d’appello ha dunque effettivamente violato:
a) il criterio dell’interpretazione utile (art. 1367 c.c.), in quanto per effetto di essa il contratto non avrebbe potuto coprire alcun danno causato colposamente dall’assicurato;
b) il criterio dell’interpretazione contro lo stipulatore (art. 1370 c.c.), in quanto anche ad ammettere che la clausola fosse ambigua, essa per ciò solo si sarebbe dovuta interpretare in senso sfavorevole al predisponente».
Il primo motivo di ricorso viene dunque accolto, e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla corte d’appello di Roma, la quale tornerà ad esaminare l’impugnazione proposta dalla società assicuratrice, alla luce del seguente principio di diritto: «la clausola inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, nella quale si stabilisca che l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare a titolo di risarcimento di danni causati “in conseguenza di un fatto accidentale” non può essere interpretata nel senso che restino esclusi dalla copertura assicurativa i fatti colposi, giacché tale interpretazione renderebbe nullo il contratto ai sensi dell’art. 1895 c.c. per l’inesistenza del rischio».