Le conseguenze della mancanza del certificato di abitabilità
Nel 2005 Stefano conviene la società C davanti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Aversa.
Espone che: ha stipulato con la convenuta un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto un appartamento in corso di costruzione; il prezzo della compravendita è stato fissato in 90.000 euro oltre IVA; ha versato 20.000 euro a titolo di caparra confirmatoria al momento della sottoscrizione del contratto; il rimanente prezzo avrebbe dovuto essere corrisposto, quanto a 40.000 euro, mediante accollo di un mutuo contratto dalla promittente venditrice, e quanto a 30.000 euro al momento della consegna dell’immobile, contestualmente alla stipula del contratto definitivo, previsto tra febbraio e aprile 2004; ha corrisposto alla promittente venditrice ulteriori somme per l’allacciamento ENEL, anticipo sui consumi di acqua ed energia elettrica, e il pagamento delle prime due rate di mutuo.
Chiede che sia pronunciata sentenza costitutiva, volta a produrre gli effetti traslativi della proprietà, in esecuzione specifica del contratto preliminare, con la riduzione proporzionale del corrispettivo originariamente pattuito, previo accertamento dei vizi, delle difformità e di tutte le differenze peggiorative dell’unità abitativa, del box e delle parti comuni, e con la condanna della società C al risarcimento di tutti i danni subiti, ivi compresi quelli derivanti dalla ritardata consegna dell’immobile, da compensare con l’eventuale prezzo residuo.
Nel costituirsi in giudizio, la società C resiste alla domanda principale e spiega domanda riconvenzionale, diretta ad ottenere la dichiarazione di risoluzione del contratto preliminare di vendita per inadempimento del promissario acquirente, con la condanna al risarcimento del danno per il pregiudizio derivante dalla trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica e con l’accertamento che nulla è dovuto a titolo restitutorio in favore di Stefano, in quanto le somme da quest’ultimo pagate devono ritenersi imputate a titolo di caparra confirmatoria o a titolo di corrispettivo per il concesso godimento del bene ovvero, ancora, a titolo di ulteriore danno.
Sostiene, all’uopo, che, pur avendo ripetutamente sollecitato ed invitato alla stipula del contratto definitivo il promissario acquirente, questi non è comparso dinanzi al notaio per concludere il rogito e che il contratto deve intendersi risolto, in quanto ha notificato, in data anteriore alla notifica dell’atto di citazione, atto di diffida a comparire dinanzi al notaio per la conclusione del definitivo e Stefano non si è presentato.
Il tribunale adito, con sentenza depositata il 7 giugno 2012, previo accertamento dell’inadempimento imputabile a colpa di Stefano nella stipula del contratto definitivo, rigetta la domanda principale di esecuzione in forma specifica e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta, dichiara la risoluzione del preliminare di vendita immobiliare, accertando il diritto della società C a trattenere le somme ricevute da Stefano, a titolo di risarcimento danni.
Su gravame interposto da Stefano, la corte d’appello di Napoli rigetta l’appello e conferma integralmente la sentenza impugnata.
A sostegno della decisione, il giudice d’appello sostiene che:
a) il rifiuto del promissario acquirente di ricevere la consegna delle chiavi — offerte nell’aprile-maggio 2004 — era ingiustificato, non potendo essere messo in correlazione con l’esistenza dei vizi dedotti, poiché questi erano stati riscontrati e denunciati alla società C solo successivamente, ossia il 30 maggio 2005;
b) benché alla data fissata nel preliminare per la stipula del definitivo — ossia nel febbraio-aprile 2004 — mancasse il certificato di abitabilità, tuttavia, nelle more del suo rilascio, richiesto in data 19 ottobre 2004 e ottenuto nell’agosto 2005, la società C aveva offerto a tutti i promissari acquirenti, ivi compreso Stefano, il “possesso” anticipato degli immobili, mediante la consegna delle chiavi, e solo dopo aver depositato la richiesta di rilascio del certificato di abitabilità aveva invitato il promissario acquirente alla stipula del definitivo nello stesso ottobre 2004, appena cinque mesi più tardi del termine fissato nel preliminare, termine peraltro non essenziale;
c) pertanto, il comportamento di Stefano era contrario a buona fede, essendo egli consapevole della mancanza del certificato di abitabilità dell’immobile in costruzione;
d) parimenti ingiustificato era il rifiuto di adempiere di Stefano, a seguito della diffida della società C, in ragione degli ulteriori vizi denunciati, i quali non apparivano di gravità tale da legittimare lo scioglimento del vincolo contrattuale, in quanto non incidevano sulla utilizzabilità del bene ed erano stati significativamente denunciati contestualmente alla ricezione della diffida ad adempiere;
e) anche l’affermazione circa il diritto della società C di trattenere le ulteriori somme versate da Stefano per l’allacciamento Enel, l’anticipo dei consumi e le prime due rate del mutuo era esente da censure, poiché il giudice di primo grado aveva ritenuto che il danno patito dalla società C, in conseguenza dell’inadempimento di Stefano, fosse corrispondente alle somme da quest’ultimo sino ad allora sborsate, senza che sul profilo specifico della sussistenza effettiva del danno e della sua quantificazione la decisione fosse stata impugnata.
Contro la sentenza di appello Stefano propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, al quale resiste con controricorso l’intimata società C.
Il ricorso viene assegnato alla seconda sezione della corte, che decide con ordinanza n. 24317 del 5 agosto 2022.
Col primo motivo Stefano denuncia la violazione o falsa applicazione degli articoli 1477 comma 3 e 1460 del codice civile, nonché dell’articolo 115 del codice di procedura civile, per avere la corte d’appello escluso che il certificato di agibilità o abitabilità fosse requisito essenziale dell’immobile, con l’effetto che, contrariamente all’assunto della pronuncia impugnata, qualora il promittente venditore non lo avesse consegnato, il promissario acquirente avrebbe potuto rifiutare la stipula del definitivo, senza che la mera conoscenza dell’insussistenza di detta attestazione, al momento del rogito, valesse a negare l’inadempimento del promittente alienante per consegna di aliud pro alio.
Sul punto, Stefano deduce che il suo rifiuto di stipulare l’atto definitivo di vendita sarebbe stato, pertanto, giustificato, in quanto l’immobile era privo del certificato di abitabilità o di agibilità.
La corte ritiene fondato tale motivo:
«Infatti, sulla scorta del quadro fattuale dedotto, non ricorreva l’inadempimento imputabile del promissario acquirente affinché potesse essere dichiarata la risoluzione del contratto preliminare, per effetto della diffida ad adempiere inviata dal promittente alienante il 1° giugno 2005. Risulta, al riguardo, che il promittente venditore il 19 ottobre 2004 ha richiesto al Comune il certificato di abitabilità dell’immobile oggetto della promessa di cui alla scrittura privata del 19 luglio 2003 e che, all’esito dell’inoltro di tale istanza, la correlata attestazione è stata ottenuta solo nell’agosto 2005. Ne consegue che, alla data indicata nella citata diffida, per la stipula davanti al notaio individuato del contratto definitivo di vendita — ossia il 20 giugno 2005 —, tale certificato non era stato ancora rilasciato, con l’effetto che il rifiuto opposto dal promissario acquirente di addivenire alla conclusione del rogito — contrariamente all’assunto della Corte distrettuale — era giustificato».
«E ciò perché, in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, la mancata consegna o il mancato rilascio del certificato di abitabilità (o agibilità), pur non incidendo sul piano della validità del contratto, integra però un inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell’art. 1460 c.c., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, salvo che quest’ultimo non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’abitabilità o comunque esonerato il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza».
[…]
«Sicché il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo del certificato di abitabilità o di agibilità, pur se il mancato rilascio dipenda da inerzia del Comune nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore — è giustificato, poiché il predetto certificato è essenziale, avendo l’acquirente interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale nonché a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene».
[…]
«Né a tale conclusione può derogarsi in ragione dell’asserita conoscenza, a cura del promissario acquirente, del difetto di tale attestazione. E tanto in quanto se, per un verso, l’eccezione di inadempimento basata sulla mancanza del certificato di abitabilità dell’immobile non può essere proposta qualora risulti che il promissario acquirente era a conoscenza di tale situazione, per altro verso, il presupposto dell’obbligo che l’art. 1477 c.c., u.c., pone a carico del venditore (e non del promittente venditore), in ordine alla consegna dei documenti relativi all’uso della cosa venduta, è che tali documenti siano necessari all’uso della medesima e si trovino in possesso del venditore, il quale, in caso negativo, dovrà comunque curarne la formazione al momento della conclusione del contratto, sicché, in caso di preventiva conclusione del contratto preliminare, è necessario che tali documenti siano acquisiti e consegnati al promissario acquirente all’atto della stipula del contratto definitivo di vendita».
[…]
«Ebbene, nella fattispecie risulta appunto che la mancanza del certificato di abitabilità ha costituito la ragione preminente che ha indotto il promissario acquirente a disattendere l’invito del promittente alienante, come da diffida inoltrata, a stipulare il definitivo nella data indicata. Ne discende che, se la conoscenza di tale difetto non poteva determinare in sé la risoluzione del preliminare prima che fossero maturate le condizioni per la stipulazione del definitivo, in ogni caso, tale conoscenza non poteva legittimare la pretesa del promittente alienante di concludere il definitivo prima che il certificato di abitabilità fosse rilasciato. Né emerge dalle argomentazioni su cui si fonda la sentenza impugnata che il promissario acquirente abbia rinunciato al requisito dell’abitabilità o comunque abbia esonerato il promittente venditore dall’obbligo di ottenere la relativa attestazione».
Tanto basta alla corte di cassazione (che comunque accoglie anche il secondo motivo, ritenendo assorbiti gli ulteriori due) per cassare la sentenza impugnata e rinviare la causa alla corte d’appello di Napoli in diversa composizione.