Come si valuta un immobile gravato da assegnazione a favore del coniuge separato
La controversia riguarda Anna e Paolo, coniugi legalmente separati. In sede di separazione l’ex casa coniugale, di proprietà di entrambi, è stata assegnata ad Anna, che vi convive con le figlie minorenni.
Nel 2008 Paolo cita Anna davanti al tribunale di Roma, al quale chiede lo scioglimento della comunione esistente sulla casa.
Anna si costituisce in giudizio opponendosi, in via principale, allo scioglimento della comunione immobiliare. In via subordinata, chiede che si proceda alla divisione dell’immobile previo accertamento del suo valore, che tenga conto dell’assegnazione in suo favore dello stesso a titolo di casa coniugale, come disposta nel giudizio di separazione giudiziale, nonché considerando la coabitazione con lei delle figlie di minore età, che le sono state affidate.
Con sentenza parziale emessa nel 2013 il tribunale rigetta l’opposizione avverso la domanda di divisione e, con separata ordinanza, rimette la causa sul ruolo per la sua prosecuzione in relazione alla sola domanda di scioglimento della comunione.
La causa viene istruita, con espletamento di consulenza tecnica d’ufficio per la stima del valore dell’immobile da dividere.
Con sentenza emessa nel 2017 il tribunale così decide: dispone lo scioglimento della comunione fra le parti, attribuendo ad Anna la proprietà esclusiva dell’immobile, determinando il conguaglio dovuto dalla stessa in favore di Paolo, con garanzia di ipoteca legale sull’immobile; respinge ogni altra domanda, compensando per intero tra le parti le spese giudiziali e ponendo a carico delle stesse, per metà ciascuna, l’importo del compenso liquidato in favore del consulente tecnico d’ufficio.
Anna propone appello contro la sentenza, della quale chiede la riforma in relazione alla determinazione del conguaglio da versare a Paolo.
Nel costituirsi in giudizio, Paolo chiede il rigetto del gravame e, contestualmente, formula appello incidentale al fine di vedersi riconoscere un conguaglio maggiore di quello liquidato dal primo giudizio.
La corte di appello di Roma, con sentenza pubblicata nel 2018, rigetta l’appello principale e dichiara assorbito quello incidentale, condannando Anna alla rifusione delle spese del grado in favore di Paolo.
La corte ribadisce che il provvedimento di assegnazione come casa coniugale dell’immobile oggetto di divisione giudiziale non può sortire alcuna incidenza sulla determinazione del valore effettivo dello stesso immobile, in quanto tale provvedimento avrebbe potuto avere rilevanza solo nel caso di vendita a terzi, che sarebbero potuti rimanere pregiudicati dall’opponibilità del medesimo provvedimento trascritto in favore del coniuge assegnatario. Tale effetto, quindi, non si può verificare nell’ipotesi in cui l’attribuzione dell’intero compendio immobiliare intervenga — come si è verificato nel caso di specie — in favore del coniuge assegnatario dello stesso quale casa coniugale, poiché egli si avvantaggerebbe, ai danni dell’altro coniuge, del minor valore derivante dallo stato di occupazione, potendo, in futuro, anche vendere l’immobile beneficiando dell’intero prezzo di mercato.
Avverso la sentenza di appello Anna propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico complesso motivo, al quale resiste Paolo con controricorso.
Il ricorso viene inizialmente, assegnato alla sesta sezione civile, il cui collegio designato, decidendo sulla base della proposta del relatore di manifesta infondatezza, con ordinanza n. 20804/2019 ritiene che non ricorra l’ipotesi dell’evidenza decisoria in ordine alla questione centrale posta col ricorso, e cioè se in sede di divisione fra ex coniugi della casa familiare, oggetto di assegnazione in favore di uno di essi in sede di separazione, occorra tenere o meno conto dell’incidenza negativa del diritto sul valore del bene anche quando la divisione si concluda con l’attribuzione dell’intero immobile al coniuge beneficiario della sua destinazione a casa familiare. Pertanto, la causa viene rimessa alla pubblica udienza.
La seconda sezione civile, con ordinanza interlocutoria pubblicata il 19 ottobre 2021, ravvisando un contrasto giurisprudenziale sulla questione come appena indicata, rimette gli atti al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite.
Il primo presidente, ritenendo sussistenti i presupposti di legge, assegna il ricorso alle sezioni unite, che provvedono su di esso con sentenza n. 18641, depositata il 9 giugno 2022.
Con l’articolata censura formulata la ricorrente Anna sostiene che l’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi separati, che non sia di sua proprietà esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni e, in caso di trascrizione, senza limiti di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non sia eventualmente modificato, sicché nel giudizio di divisione (e, quindi, ai fini della determinazione del valore reale dell’immobile che ne forma l’oggetto) se ne deve tener conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro dei coniugi legalmente separati oppure venduto a terzi. Se non si valorizzasse il deprezzamento che l’assegnazione dell’immobile al coniuge affidatario dei figli oggettivamente produce sul suo relativo valore — e, quindi, sul conguaglio da liquidare in sede di attribuzione della proprietà dell’intero cespite ad uno dei coniugi condividenti — si determinerebbe, al contrario di quanto sostenuto nella sentenza impugnata, un’indebita locupletazione del coniuge non assegnatario, il quale, in violazione del principio secondo cui il giudizio di divisione mira alla formazione di porzioni corrispondenti alle quote dei condividenti al tempo della comunione, si vedrebbe riconosciuto, in cambio della cessione della sua quota, un conguaglio maggiore della somma che gli verrebbe attribuita nel caso di divisione mediante vendita dell’immobile a terzi. Quand’anche si volesse ritenere che il coniuge assegnatario dell’immobile, in caso di attribuzione unitaria del bene in proprio favore, consegua un vantaggio rispetto all’altro coniuge, tale risultato non costituirebbe un quid novi derivante dalla divisione, bensì un elemento riflettente un valore aggiuntivo che esisteva nella sua sfera giuridica già in precedenza, consistente nel diritto di godere del bene in misura superiore e più intensa rispetto all’altro coniuge nell’esclusivo e superiore interesse dei figli, per effetto dell’assegnazione.
Premesso un ampio esame degli istituti giuridici rilevanti, le sezioni unite riassumono gli orientamenti giurisprudenziali e scientifici contrapposti sulla questione da decidere, e giungono a condividere «l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nel caso in cui lo scioglimento della comunione immobiliare si attui mediante attribuzione dell’intero al coniuge affidatario della prole, il valore dell’immobile oggetto di divisione non può risentire del diritto di godimento già assegnato allo stesso a titolo di casa coniugale, poiché esso viene ad essere assorbito o a confondersi con la proprietà attribuitagli per intero, con la conseguenza che, ai fini della determinazione del conguaglio in favore dell’altro coniuge, bisognerà porre riferimento, in proporzione alla quota di cui era comproprietario, al valore venale dell’immobile attribuito in proprietà esclusiva all’altro coniuge, risultando, a tal fine, irrilevante la circostanza che nell’immobile stesso continuino a vivere i figli minori o non ancora autosufficienti rimasti affidati allo stesso coniuge divenutone proprietario esclusivo, in quanto il relativo aspetto continua a rientrare nell’ambito dei complessivi e reciproci obblighi di mantenimento della prole da regolamentare nella sede propria, con la eventuale modificazione in proposito dell’assegno di mantenimento».
Questi sono i passaggi fondamentali della motivazione di tale scelta:
«È, altresì, pacifico che non si intravedono ragioni che possano giustificare il mancato accoglimento della domanda di divisione che abbia ad oggetto anche la casa coniugale gravata da un provvedimento di assegnazione».
«In base, quindi, alla disciplina generale in tema di scioglimento della comunione immobiliare, ove trattasi di immobile non divisibile (art. 720 c.c.) e si proceda all’attribuzione dell’intero bene a uno dei comproprietari, scatta quale applicazione della relativa regola generale il conseguente obbligo di corresponsione a favore dell’altro della quota di conguaglio».
«In tal caso, ovvero qualora il bene venga attribuito in proprietà esclusiva al coniuge che già ne godeva come casa coniugale, verrà a prodursi l’effetto della concentrazione in capo allo stesso coniuge di tale diritto di godimento e del diritto dominicale sull’intero immobile, che permane privo di vincoli, con la conseguenza che il primo, già derivante dal provvedimento di assegnazione giudiziale, risulterà assorbito dall’acquisito diritto in proprietà esclusiva dell’immobile stesso, il quale, perciò, ne determinerà l’estinzione (secondo parte della dottrina si tratterebbe di una forma assimilabile a quella di un’estinzione per confusione)».
«In ragione di ciò, in sede di valutazione economica del bene “casa familiare” ai fini della divisione, il diritto di godimento di esso conseguente al procedimento di assegnazione non potrà avere alcuna incidenza sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge, in quanto lo stesso — come già rimarcato — si atteggia come un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale) che viene a caducarsi con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, divenendo, in tal caso, la sua persistenza priva di una base logico-giuridica giustificativa, anche in virtù dell’applicazione del principio generale secondo cui nemini res sua servit».
«A tal proposito si è precisato che il citato diritto non costituisce un diritto patrimoniale, bensì esclusivamente un diritto familiare a carattere non patrimoniale, che, perciò, incontra il suo naturale limite nella cessazione della sua efficacia nel momento della divisione del bene “casa familiare”, per effetto della quale nella quota di proprietà del coniuge attributario — già titolare di tale diritto — confluisce e si annulla lo stesso diritto di godimento esclusivo».
«A ciò deve aggiungersi […] che, ove si operasse la decurtazione del valore in considerazione del già riconosciuto diritto di godimento della “casa familiare”, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustamente penalizzato con la corresponsione di una somma che non sarebbe rispondente alla metà (nell’ipotesi di antecedente comproprietà al 50%) dell’effettivo valore venale del bene. Ciò trova conforto anche nella considerazione che, qualora intendesse rivenderlo a terzi, l’assegnatario della proprietà esclusiva (che decidesse di trasferire altrove la residenza comune con i figli, così rendendo l’immobile libero) potrebbe ricavare l’intero prezzo del mercato, pari al valore venale del bene, senza alcuna diminuzione».
«Va, quindi, affermato che l’attribuzione dell’immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva dell’assegnatario in sede di divisione configura una causa automatica di estinzione (così si esprime testualmente la menzionata Cass. n. 33068/2018) del diritto di godimento con tale destinazione, che comporta il conferimento allo stesso immobile di un valore economico pieno corrispondente a quello venale di mercato».
[…]
«In definitiva, l’immobile attribuito in proprietà esclusiva al coniuge già assegnatario quale casa coniugale non può considerarsi decurtato di alcuna utilità, posto che la qualità di titolare del diritto dominicale e quella di titolare del diritto di godimento vengono a coincidere. Non si configura, in altri termini, alcun diritto altrui che limiti le facoltà di godimento del coniuge attributario dell’intero — e già assegnatario in quanto affidatario della prole — e sia, perciò, idoneo a comportare la diminuzione del valore di mercato del bene».
«Appurata in tale ipotesi l’insussistenza di un’incidenza sul valore venale del bene, non si può escludere — pur rimanendo tale aspetto attinente al solo profilo strettamente familiare — che il coniuge, divenuto titolare della proprietà esclusiva sull’intero bene all’esito delle operazioni divisionali, possa eventualmente chiedere l’adeguamento del contributo di mantenimento dei figli all’altro coniuge-genitore, in quanto nella determinazione del relativo assegno, pur venendo meno la componente inerente l’assegnazione della casa familiare, il genitore, non residente con i figli o non affidatario, rimane obbligato a soddisfare pro quota il diritto dei figli (minori o ancora non autosufficienti) a poter usufruire di un’adeguata abitazione».
[…]
Peraltro, non può nemmeno escludersi che, a seguito dell’estinzione del vincolo di destinazione a casa familiare (derivante dagli effetti della divisione), si possa convenire tra i coniugi separati (o divorziati), in sede di revisione dei provvedimenti afferenti agli assetti familiari, un affidamento dei figli al coniuge non attributario, all’esito della divisione, dell’immobile già avente detta destinazione, con una correlata nuova regolamentazione della contribuzione per i figli (fino al raggiungimento della loro autosufficienza), in ipotesi anche con esonero dall’assolvimento di tale obbligo per effetto dell’accordo tra gli stessi (ex) coniugi».
«Pertanto, riconoscere al coniuge attributario dell’immobile per intero una decurtazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge già comproprietario, in virtù del diritto di godimento già riconosciutogli con l’assegnazione, costituirebbe un suo ingiustificato arricchimento, in quanto egli si troverebbe — come più volte posto in risalto — ad essere titolare di un bene non gravato da alcun diritto altrui, in virtù della produzione del suddetto effetto estintivo».
«Di contro, nell’ipotesi in cui la comunione immobiliare venga sciolta a seguito della divisione giudiziale con l’attribuzione dell’immobile in proprietà esclusiva a favore del coniuge non assegnatario dello stesso quale casa coniugale (e non affidatario della prole), quest’ultimo si troverà in una situazione comparabile a quella del terzo acquirente dell’intero (a seguito di aggiudicazione in esito al procedimento divisionale, con le relative valutazioni del caso ad opera dell’ausiliario tecnico del giudice), ovvero diventerà titolare di un diritto di proprietà il cui valore dovrà essere decurtato dalla limitazione delle facoltà di godimento da correlare all’assegnazione dell’immobile al coniuge affidatario della prole, permanendo il relativo vincolo sullo stesso con i relativi effetti pregiudizievoli derivanti anche dalla sua trascrizione ed opponibilità ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.».
«Da quanto appena posto in risalto deriva, quindi, una soluzione differenziata del valore dell’immobile, a seconda che il medesimo sia assegnato in proprietà esclusiva al coniuge che (per essere residente con i figli o affidatario degli stessi) aveva su di esso il diritto di cui al citato art. 337-sexies c.c., comma 1 (già art. 115-quater c.c.) ovvero, in alternativa, sia trasferito in proprietà per l’intero all’altro coniuge, o venduto ad un terzo, posto che, in questi due ultimi casi, il diritto di godimento in capo all’altro coniuge continua a sussistere».
Da ciò, il rigetto del ricorso di Anna, che beneficia esclusivamente della compensazione delle spese di lite relative al giudizio di cassazione, in considerazione del contrasto di giurisprudenza sulla questione controversa.