Assegno divorzile e restituzione delle somme non dovute
Demetra e Gorgia si sposano nel 1989 e si separano consensualmente nel 2006. Le condizioni della separazione non prevedono alcun contributo al mantenimento di Demetra da parte di Gorgia.
Nel 2009 Demetra promuove un giudizio per ottenere la modifica delle condizioni della separazione. In sede di provvedimenti urgenti il presidente del tribunale le riconosce il diritto a un contributo al mantenimento di 500 euro mensili con decorrenza dall’ottobre 2009. Successivamente il giudice istruttore riduce tale contributo a 400 euro mensili, con decorrenza da dicembre 2010.
Nel frattempo Demetra ha promosso il giudizio per ottenere il divorzio, nel quale chiede il riconoscimento di un assegno divorzile.
Il tribunale dichiara, con sentenza immediata, la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il giudizio prosegue per la determinazione delle condizioni economiche.
Entrambi i giudizi si concludono sfavorevolmente per Demetra, alla quale vengono negati sia l’assegno di mantenimento quale coniuge separato, sia l’assegno divorzile. Il tribunale però tiene fermo quanto disposto in sede di provvedimenti urgenti, con la conseguenza che Demetra non è tenuta a restituire quanto percepito sino al momento della sentenza.
Demetra appella entrambe le sentenze. I due giudizi di appello vengono riuniti e quindi decisi con un’unica sentenza dalla corte d’appello di Roma nel 2018, che rigetta entrambi gli appelli di Demetra e accoglie l’appello incidentale di Gorgia, volto a conseguire la restituzione delle somme versate alla moglie in esecuzione dei provvedimenti provvisori emanati in primo grado.
Quanto alle condizioni della separazione, la corte ritiene che non sia sopravvenuto dopo la separazione alcun fatto nuovo che giustificasse la modifica.
Quanto all’assegno divorzile, la corte applica l’orientamento più recente della corte di cassazione (espresso nella sentenza n. 11504/2017) anziché il criterio del cosiddetto tenore di vita seguito dal tribunale, e nega il contributo a Demetra ritenendo che disponga di mezzi sufficienti ad assicurarle l’indipendenza e l’autosufficienza economica.
La domanda di restituzione proposta da Gorgia con appello incidentale viene accolta sul presupposto che sin dalla richiesta di modifica delle condizioni di separazione non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di un contributo al mantenimento di Demetra.
Demetra propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Gorgia resiste con controricorso.
Col quinto motivo Demetra deduce la falsa applicazione degli articoli 156 e 445 del codice civile, in relazione al capo dell’impugnata sentenza che, accogliendo l’appello incidentale, ha pronunciato la sua condanna alla restituzione in favore di Gorgia delle somme percepite a titolo di assegno di mantenimento a seguito dei provvedimenti provvisoriamente adottati dal presidente del tribunale e poi dal giudice istruttore. La corte d’appello non si sarebbe uniformata ai principi di diritto costantemente applicati alla questione, trascurando la natura alimentare dell’assegno di mantenimento.
Il ricorso viene assegnato alla prima sezione civile, la quale, con ordinanza interlocutoria, ritiene necessario rimettere al primo presidente, per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, la soluzione dei seguenti quesiti, posti dal quinto motivo di ricorso, ritenuti comunque di particolare importanza: a) se i crediti afferenti agli assegni che traggono origine dalla crisi del rapporto di coniugio posseggano tutti indistintamente i caratteri della irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità propri dei crediti alimentari; b) se i caratteri di cui sopra possano farsi dipendere dalla entità delle somme erogate a tali titoli e se, in particolare, se ne renda obbligato il riconoscimento in presenza di importi di ammontare modesto che inducano a ravvisare la destinazione para-alimentare; c) se nel caso in cui sia in discussione la non debenza dell’assegno sia possibile scorporare da esso ai fini di riconoscervi i caratteri di cui sopra, la quota di esso avente destinazione para-alimentare; d) se il regime giuridico individuato in base all’accertamento da condursi in relazione al punto a) sia estensibile anche all’assegno in favore dei figli maggiorenni non autosufficienti di cui venga accertato l’indebito.
Il primo presidente della corte di cassazione accoglie l’invito e dispone l’assegnazione del ricorso alle sezioni unite, perché decidano sul solo quinto motivo di esso.
Le sezioni decidono con una ponderosa sentenza, la numero 32914 dell’8 novembre 2022.
Il relatore dottoressa Giulia Iofrida trascrive nell’incipit tutte le disposizioni rilevanti per la decisione e svolge approfondite considerazioni sulla materia, che si presentano come un utile promemoria per chiunque si occupi di essa.
Eccone alcuni dei passaggi più significativi:
«La separazione personale tra i coniugi non estingue il dovere reciproco di assistenza materiale, espressione del dovere, più ampio, di solidarietà coniugale, ma il venir meno della convivenza comporta significati mutamenti: a) il coniuge cui non è stata addebitata la separazione ha diritto di ricevere dall’altro un assegno di mantenimento, qualora non abbia mezzi economici adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale, valutate la situazione economica complessiva e la capacità concreta lavorativa del richiedente, nonché le condizioni economiche dell’obbligato, che può essere liquidato in via provvisoria nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 708 c.p.c.; b) il coniuge separato cui è addebitata la separazione perde invece il diritto al mantenimento e può pretendere solo la corresponsione di un assegno alimentare se versa in stato di bisogno».
[…]
«Si afferma, con orientamento prevalente, che il diritto al mantenimento a favore del coniuge separato sorge e decorre dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio, anche se tale principio attiene soltanto al profilo dell’“an debeatur” della domanda, e non interferisce, pertanto, sull’esigenza di determinare il “quantum” dell’assegno alla stregua dell’evoluzione intervenuta in corso di giudizio nelle condizioni economiche dei coniugi, né sulla legittimità della determinazione di misure e decorrenze differenziate, in relazione alle modificazioni intervenute fino alla data della decisione, dalle diverse date in cui i mutamenti si siano verificati».
[…]
«Invece, l’assegno divorzile, del tutto autonomo rispetto a quello di mantenimento con¬cesso al coniuge separato, a seguito della riforma introdotta nel 1987, e dell’intervento chiarificatore da ultimo espresso da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 18287/2018, ha natura composita, in pari misura, assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno dei coniugi non gli assicuri l’autosufficienza economica) e riequilibratrice o meglio perequativo-compensativa (quale riconoscimento dovuto, laddove le situazioni economico-patrimoniali dei due coniugi, pur versando entrambi in condizione di autosufficienza, siano squilibrate, per il contributo dato alla realizzazione della vita familiare, con rinunce ad occasioni reddituali attuali o potenziali e conseguente sacrificio economico), nel senso che i criteri previsti dall’art. 5 L. div. (tra i quali la durata del matrimonio, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune e le ragioni della decisione) rilevano nel loro insieme sia al fine di decidere l’an della concessione sia al fine di determinare il quantum dell’assegno. Si è quindi evidenziato (Cass. SS.UU. n. 18287/2018) che “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile – al pari dell’assegno di mantenimento in sede di separazione -, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”. In sostanza, in presenza di uno squilibrio economico tra le parti, patrimoniale e reddituale, occorrerà verificare se esso, in termini di correlazione causale, sia o meno il frutto delle scelte comuni di conduzione della vita familiare che abbiano comportato il sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi».
[…]
«Sia l’assegno di mantenimento sia quello divorzile possono subire variazioni, in aumento o in diminuzione, per effetto del cambiamento della situazione patrimoniale relativa al debitore o al creditore considerata al momento della sentenza. Quanto all’assegno divorzile se la necessità di un assegno si manifesti dopo il passaggio in giudicato della statuizione attributiva del nuovo status, esso verrà liquidato in separato giudizio, restando ferma la possibilità di avanzare la domanda successivamente alla sentenza di divorzio, anche in difetto di pregressa domanda giudiziale (Cass. n. 2198/2003, ove si è chiarito che il deterioramento delle condizioni economiche di uno o di entrambi gli ex coniugi, che consente il riconoscimento dell’assegno, può verificarsi anche dopo il divorzio, proprio perché trova fondamento nel dovere di assistenza, e non nel nesso di causalità o di concomitanza tra divorzio e deterioramento delle condizioni di vita). Ove si verifichino mutamenti di circostanza, così da richiedere una modifica dell’assegno, la pronuncia potrebbe far retroagire tale aumento dal momento (successivo alla domanda) del mutamento di circostanza o addirittura disporlo a far data dalla decisione (cfr., sul punto, Cass. 15 marzo 1986, n. 3202)».
«Pur nella comune riconduzione al concetto di solidarietà familiare (ad eccezione del rapporto donatatario/donante), sussistono indubbie differenze strutturali e funzionali tra gli alimenti, secondo la modalità di somministrazione periodica di somma di denaro, e l’assegno di mantenimento del coniuge separato e di divorzio (al di fuori dell’ipotesi di corresponsione in unica soluzione): a) il diritto al mantenimento del coniuge separato, cui non sia addebitabile la separazione, presuppone la mancanza di mezzi economici adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale, valutate la situazione economica complessiva e la capacità concreta lavorativa del richiedente, nonché le condizioni economiche dell’obbligato; b) l’assegno divorzile ha natura composita, in pari misura, assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno dei coniugi non gli assicuri l’autosufficienza economica) e riequilibratrice o meglio perequativo-compensativa (quale riconoscimento dovuto, laddove le situazioni economico- patrimoniali dei due coniugi, pur versando entrambi in condizione di autosufficienza, siano squilibrate, per il contributo dato alla realizzazione della vita familiare, con rinunce ad occasioni reddituali attuali o potenziali e conseguente sacrificio economico); c) presupposti del diritto agli alimenti sono lo stato di bisogno del soggetto richiedente e l’impossibilità dello stesso di provvedere da solo a superare tale stato, rilevando, come criterio per determinarne la misura concreta, anche la capacità economica dell’obbligato di provvedere alle necessità del bisognoso (riferita, quanto al donatario, anche al valore della donazione ricevuta)».
«Solo il diritto agli alimenti richiede tra i presupposti costitutivi uno stato di totale assenza di mezzi di sostentamento e, di regola, tende ad appagare le più elementari e basilari esigenze di vita quali il vitto, l’alloggio, il trasporto e le cure mediche, ma anche bisogni “civili”, quali l’istruzione, avuto anche riguardo alla sua posizione sociale (vale a dire ai bisogni essenziali che si manifestino in concreto in relazione anche alla personalità ed alle abitudini pregresse), senza sperperi o sregolatezza, mentre è limitata allo “stretto necessario” quando l’obbligazione sorge tra fratelli e la prestazione deve comprendere le spese per l’educazione e l’istruzione se l’alimentato è minorenne».
«Tuttavia, costituisce acquisizione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte quella secondo cui, nonostante la sostanziale diversità delle condizioni che legittimano le due domande, la richiesta di alimenti non costituisce una domanda nuova, ma un minus necessariamente ricompreso nella più ampia richiesta di mantenimento».
«È stato affermato da questa Corte che la retroattività della sentenza, nel rapporto tra sentenza di primo grado e sentenza di appello, nel caso in cui escluda o riduca l’assegno stabilito nella sentenza impugnata, può operare solo a favore del beneficiario dell’assegno, considerato il carattere “latamente alimentare” o la funzione anche alimentare dell’assegno (nel senso della ricomprensione del minus alimentare nella più ampia obbligazione di mantenimento) e la conseguente applicabilità, per analogia, agli assegni separativi o divorzili del trattamento riservato agli alimenti, ragione questa per cui l’effetto retroattivo della sentenza debba in ogni caso conciliarsi con i caratteri della impignorabilità, della non compensabilità e “della irripetibilità” dell’assegno di mantenimento “desumibili dall’art. 447 c.c., e art. 545 c.p.c.”, propri della disciplina dell’assegno alimentare».
«Ora, in effetti, non si rinviene nell’ordinamento una disposizione che, sul piano sostanziale, sancisca la irripetibilità dell’assegno propriamente alimentare provvisoriamente disposto a favore dell’alimentando, atteso che l’art. 447 c.c. si occupa di disciplinare la cessione del credito alimentare e la sua compensazione con un controcredito dell’obbligato, ma non ne sancisce l’irripetibilità, mentre gli artt. 545 e 671 c.p.c. contemplano l’impignorabilità (non assoluta, essendo pignorabili i crediti a loro volta alimentari, a condizione dell’autorizzazione del giudice) e l’insequestrabilità dei crediti alimentari. Le stesse disposizioni specifiche degli artt. 440 e 446 c.c., non escludono la possibilità del ricorso al generale rimedio dell’azione di ripetizione di indebito, nelle ipotesi di riduzione dell’assegno alimentare fissato in via cautelare e provvisoria dal Presidente del Tribunale o di esclusione del diritto con il provvedimento definitivo. Di conseguenza, non può negarsi l’efficacia caducatoria e ripristinatoria dello status quo ante e dunque sostitutiva della sentenza impugnata propria della sentenza emessa in esito al successivo grado di giudizio, sulla base del semplice riferimento alla disciplina dettata per gli alimenti in senso proprio».
«Peraltro, riguardo alla questione che in questa sede interessa, come già esposto in merito al rapporto tra provvedimenti presidenziali e sentenza definitiva che modifichi il contenuto dei primi, non si tratterebbe di sancire l’obbligo di restituzione di quanto percepito a titolo strettamente alimentare, ma di restituire somme di denaro versate sulla base di un supposto ed inesistente diritto al mantenimento, oppure di parziale restituzione di somme di denaro versate sulla base di un supposto e parzialmente inesistente diritto al mantenimento».
In realtà, un temperamento al principio di piena ripetibilità trova giustificazione solo per ragioni equitative, di stampo c.d. “pretorio”.
[…]
«Invero, l’opinione, pacifica in giurisprudenza, secondo cui la sentenza che escluda o riduca l’assegno alimentare concesso con provvedimento provvisorio o con la sentenza definitiva del grado inferiore del processo non potrebbe, a determinate condizioni, comportare la ripetibilità delle maggiori somme già versate, si giustifica su di un piano “equitativo”, sulla base nei principi costituzionali di solidarietà umana (art. 2 Cost.) e familiare in senso ampio (art. 29 Cost.: la società “naturale” costituita dalla famiglia), e solo nella misura in cui si esoneri il soggetto beneficiario, dal restituire quanto percepito provvisoriamente anche “per finalità alimentare”, sul presupposto che le somme versate in base al titolo provvisorio siano state verosimilmente consumate per far fronte proprio alle essenziali necessità della vita (argomento tratto da art. 438 c.c., comma 2)».
In base a queste considerazioni, le sezioni unite ritengono di dover affermare il seguente principio di diritto, uno dei più laboriosi che siano mai stati formulati:
«In materia di famiglia e di condizioni economiche nel rapporto tra coniugi separati o ex coniugi, per le ipotesi di modifica nel corso del giudizio, con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, delle condizioni economiche riguardanti i rapporti tra i coniugi, separati o divorziati, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, occorre distinguere: a) opera la “condictio indebiti” ovvero la regola generale civile della piena ripetibilità delle prestazioni economiche effettuate, in presenza di una rivalutazione della condizione “del richiedente o avente diritto”, ove si accerti l’insussistenza “ab origine” dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile; b) non opera la “condictio indebiti” e quindi la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede (sotto il profilo dell’an debeatur, al fine di escludere il diritto al contributo e la debenza dell’assegno) ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, “delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione)”, sia se viene effettuata (sotto il profilo del quantum) una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica; c) al di fuori delle ipotesi sub b), in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità».
In applicazione di questo principio, viene rigettato il quinto motivo del ricorso di Demetra, avendo la corte d’appello ritenuto che sin dalla richiesta di modifica delle condizioni della separazione non sussistessero i presupposti dell’assegno di mantenimento a suo favore.
Viene rimessa alla prima sezione dei restanti motivi, involgenti tra l’altro anche la questione della spettanza o meno a Demetra dell’assegno divorzile.