Donazione indiretta e animus donandi
Filippo riceve in dono dalla madre azioni di una banca e le deposita su un deposito titoli collegato ad un conto corrente cointestato alla moglie Paola.
Il matrimonio tra Filippo e Paola va in crisi e viene promossa la causa di separazione.
In pendenza di essa, Paola preleva dal conto corrente circa 225 mila euro, derivanti dalla vendita delle azioni donate a Filippo dalla madre.
Nel 2013 Filippo promuove una causa nei confronti di Paola per ottenere la resti¬tu¬zione di tale somma, sul presupposto, tra l’altro, che la comunione legale tra i coniugi non potesse essersi estesa alle azioni, attesa la loro provenienza e qualificazione in termini di beni personali del marito. In via subordinata, chiede la condanna di Paola alla restituzione del 50% della somma.
La domanda viene accolta dal tribunale, con decisione confermata dalla corte d’appello di Bologna con sentenza emessa nel 2021, contro la quale Paola promuove ricorso per cassazione, affidato a ben 13 motivi.
La prima sezione della corte di cassazione rigetta il ricorso con ordinanza n. 9197 del 3 aprile 2023.
È di particolare interesse la parte dell’ordinanza nella quale sono illustrate le ragioni per le quali la corte ritiene infondata la tesi di Paola, secondo la quale il solo fatto che il coniuge avesse depositato i titoli azionari nel conto cointestato con la moglie avrebbe comportato una donazione indiretta a favore di lei:
«In effetti, per la validità delle donazioni indirette, vale a dire di quelle liberalità realizzate ponendo in essere un negozio tipico diverso da quello previsto dall’art. 782 c.c., non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità: nella specie, si tratterebbe della cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di azioni depositate presso un istituto di credito, appartenenti all’atto della cointestazione ad uno solo dei cointestatari […]».
«Tuttavia, “la possibilità che costituisca donazione indiretta l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito – qualora la predetta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei contestatari può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l’esistenza dell’”animus donandi”, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità” (Cass. 26983/2008)».
[…]
«Con l’ulteriore e decisivo corollario che l’intenzione di donare o il fine di liberalità, con l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario, deve emergere, nella donazione indiretta, non già, in via diretta, dall’atto o dagli atti utilizzati, ma solo, in via indiretta, dall’esame, necessariamente rigoroso, di tutte le circostanze di fatto del singolo caso, nei limiti in cui risultino tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio da chi ne abbia interesse. Nella specie, premesso che l’attore L. aveva negato l’assunto, affermando che il deposito, di beni comunque personali in quanto frutto di donazione, nel conto cointestato ai coniugi era stato “del tutto fittizio e discendente da mere ragioni di opportunità”, la Corte d’appello ha di fatto escluso il raggiungimento di tale prova, cui era onerata la P.».