Il nesso causale va affermato quando la sua esistenza è più probabile che non
Alla guida della sua motocicletta Romano tenta un sorpasso ma, accortosi del fatto che dalla corsia opposta sopraggiunge un autoarticolato, frena per rinunciare al sorpasso. Purtroppo cade e va a sbattere contro il parafango del camion, perdendo la vita.
La moglie Loredana, in proprio e quale rappresentante del figlio minore Riccardo, cita in giudizio davanti al Tribunale di Novara l’Anas e la Reale Mutua assicurazioni, quale compagnia designata per il Fondo di Garanzia per le vittime della strada: la prima in ragione del fatto che è emerso che nel punto in cui Romano è caduto vi era un’anomalia del manto stradale, dovuta alle pessime condizioni del giunto, tale da potersi ritenere concausa dell’incidente; la seconda in quanto dietro l’autocarro circolava un veicolo non identificato che avrebbe avuto una certa parte nel causare l’incidente, veicolo rimasto ignoto.
Entrambi convenuti si costituiscono in giudizio e resistono alla domanda. L’Anas sostiene l’esclusiva responsabilità della vittima, mentre la Reale Mutua eccepisce che non vi è alcuna ragione per ritenere la presenza di un ulteriore veicolo non identificato.
Il tribunale di Novara accoglie la domanda, accertando che l’incidente si è verificato sia per l’imprudenza di Romano, che ha inciso al 60%, sia per un difetto del manto stradale, che invece ha inciso per il rimanente 40%. Esclude che vi fosse un veicolo non identificato.
Contro questa decisione propone appello Loredana, per contestare la percentuale di responsabilità attribuita a Romano nonché l’ammontare del risarcimento riconosciuto in primo grado (160 mila euro). L’Anas propone appello incidentale al fine di far riconoscere la responsabilità esclusiva di Romano.
La corte d’appello di Torino rigetta l’appello principale ed accoglie quello incidentale, sul presupposto dell’esclusiva responsabilità di Romano, disponendo la restituzione delle somme incassate eventualmente da Loredana per effetto della sentenza di primo grado.
Contro la sentenza Loredana propone ricorso per cassazione, di cui chiede il rigetto l’Anas. Non si costituisce la Reale Mutua, rimasta contumace anche in appello.
Entrambe le parti depositano memoria. Il procuratore generale chiede l’accoglimento del ricorso.
Sul ricorso decide la terza sezione della corte di cassazione, con sentenza n. 10978 del 26 aprile 2023.
Vengono accolti i due motivi del ricorso, sulla base di una motivazione che richiama precedenti sentenze della corte:
«È nota la giurisprudenza di questa Corte sulla prova del nesso di causalità e dunque sulla regola secondo cui il nesso di causa è provato quando la tesi a favore (del fatto che un evento sia causa di un altro) è più probabile di quella contraria (che quell’evento non sia causa dell’altro): il che si esprime con la formula del “più probabile che no”».
«Nel caso di concorso di cause, che è ciò che si tratta di accertare qui, ossia nel caso in cui si tratta di verificare se la cosa ha contribuito causalmente all’evento insieme ad altre concause, quel principio di diritto è specificato nel modo seguente: “qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della “probabilità prevalente” e del “più probabile che non”; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente” (Cass. 25885 del 2022)».
«Naturalmente la probabilità riguarda il grado dell’inferenza, ossia: dai determinati indizi è probabile (più probabile che no) che la causa sia quella indicata dal danneggiato, ma non riguarda la rilevanza degli stessi indizi, che invece devono essere non già probabili, ma gravi, precisi e concordanti».
«Con la conseguenza che il giudice di merito deve porre a base della decisione fatti che siano gravi, precisi e concordanti, e non meramente ipotetici o supposti come probabili, e da quei fatti deve indurre ipotesi ricostruttive del nesso di causa escludendo quelle meno probabili, e scegliendo, tra quelle rimaste, l’ipotesi che spiega il fatto con maggiore probabilità, sulla base degli indizi raccolti».
«Non serve dunque nè la certezza, nè una elevata probabilità, come assunto dalla Corte di merito, bensì una valutazione delle ipotesi alternative e la scelta di quella più probabile, anche se di poco, rispetto alle altre, che non necessariamente si ponga come di elevata probabilità».
«Ciò si spiega per il fatto che le probabilità numeriche di un fatto (che la cosa abbia concorso al danno) non necessariamente ammontano al 100%, ossia: data la tesi X e quella contraria Y, non necessariamente la loro somma porta al 100% (nel senso che la prima è data al 60% e l’altra al 40%, ad esempio)».
«Ciò accade perché c’è sempre spazio per altre spiegazioni, molto meno probabili, che sono date ad una percentuale minore. Cosi che, scartate queste ultime (come indicato da Cass. 25885-2022), può accadere che le rimanenti, ad esempio quella sostenuta dall’attore e quella sostenuta dal convenuto, abbiano l’una il 30% e l’altra il 20%: la regola del più probabile che no, porta ad affermare come fondata la prima delle due, anche se non caratterizzata da una elevata probabilità, come ha preteso la corte di merito, quanto piuttosto di una probabilità maggiore dell’altra ipotesi».
«Per contro, la corte di merito, nel ritenere provato, da parte del custode, il fatto liberatorio, costituito dal concorso di colpa del danneggiato, ha violato il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui il custode deve fornire la prova del ruolo causale della condotta del danneggiato, che deve essere tale da incidere sul nesso di causalità escludendolo (Cass. 9315-2019; Cass. 2480-2018). Invece, dalla motivazione della sentenza impugnata risulta, come evidenziato dal Pubblico Ministero, che viene data per provata l’incidenza causale della condotta del danneggiato sulla base di una valutazione meramente ipotetica ricavata dalla CTU, e non nei termini dell’efficienza causale richiesta per potersi considerare fatto liberatorio».