La liquidazione dei danni da violazione dei doveri dei genitori
Francesca agisce davanti al tribunale di Salerno contro Dario, chiedendo che egli sia riconosciuto come suo padre e condannato a corrisponderle un contributo al suo mantenimento e il risarcimento dei danni conseguiti dalla pregressa violazione da lui commessa dei doveri connessi allo status di genitore.
Nel 2015 il tribunale emette sentenza parziale con la quale dichiara la paternità di Dario nei confronti di Francesca.
Nel 2020 lo stesso tribunale condanna Dario a corrispondere a Francesca un assegno di mantenimento di 300 euro mensili dalla nascita di Francesca sino a una certa data, e di 40.000 euro a titolo di risarcimento.
Le sentenze sono confermate dalla corte d’appello di Salerno, che respinge l’appello principale di Dario nei confronti di entrambe le sentenze e l’appello incidentale di Francesca nei confronti della sentenza del 2020.
Dario ricorre per la cassazione della sentenza di appello, prospettando quattro motivi di doglianza. Francesca resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale, affidato a tre motivi.
Decide la prima sezione civile della corte, con ordinanza n. 28551 del 13 ottobre 2023.
Il ricorso di Dario viene giudicato inammissibile.
Vengono invece ritenuti fondati i motivi di censura proposti da Francesca nel ricorso incidentale in relazione alla liquidazione del risarcimento danni:
«La giurisprudenza di legittimità, nell’enucleare la nozione di illecito endofamiliare, ha chiarito che la violazione dei doveri conseguenti allo status di genitore non trova la sua sanzione, necessariamente e soltanto nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c., come reinterpretato alla luce dei principi recentemente e ripetutamente affermati da questa stessa Corte in tema di danni alla persona (v. Cass. 26301/2021, Cass. 28989/2019, Cass. 7513/2018, Cass. 2788/2019, Cass. 901/2018)».
«Ora, la natura unitaria e omnicomprensiva del danno non patrimoniale comporta l’obbligo, per il giudice di merito, di tenere conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze in peius derivanti dall’evento pregiudizievole, nessuna esclusa, valutando distintamente le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione) rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano nell’ambito delle relazioni di vita esterne), autonomamente risarcibili, e attribuendo al danneggiato una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici; ne deriva che, a fini liquidatori, si deve procedere ad una compiuta istruttoria finalizzata all’accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, al fine di valutare distintamente le conseguenze subite dal danneggiato sotto i profili appena indicati (Cass. 23469/2018, Cass. 901/2018)».
La Corte di merito […], nell’affermare che l’appellante, “essendo stato totalmente assente dalla vita della famiglia, le ha procurato una lesione al suo diritto ad avere una relazione filiale con il padre ed ha inciso in maniera fortemente negativa sulla sua sfera intima, affettiva e relazionale”, dapprima ha espressamente riconosciuto l’illecito endofamiliare del […], quindi ha apprezzato le conseguenze subite dalla danneggiata sia nella sua sfera interiore, sia rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale».
«Questo accertamento, pur prendendo correttamente in considerazione l’intero panorama delle conseguenze subite dalla danneggiata, le individua però in termini del tutto sommari, astratti e generici, senza soffermarsi ad accertare in concreto la loro specifica portata».
«Questa carente individuazione di ogni profilo del pregiudizio subito ha compromesso, inevitabilmente, la possibilità di correlare con puntualità la quantificazione del danno alla sua precisa entità».
«Ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale subito dalla figlia per la totale assenza della figura paterna, i giudici di merito hanno legittimamente fatto ricorso al criterio equitativo per determinare l’importo dovuto, non altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare».
L’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, a condizione che “la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito” (Cass. 24070/2017; in senso conforme, Cass. 5090/2016)».
«Al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente, e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum (Cass. 2327/2018), dovendosi ritenere censurabili le liquidazioni basate su criteri “manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza” (Cass. 4310/2018, Cass. 13153/2017)».
«Difatti, la “liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste pur sempre in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno, e cioè in un giudizio di mediazione tra le probabilità positive e le probabilità negative del danno effettivo nel caso concreto. Pur giocandovi un ruolo rilevante il potere discrezionale del giudice, essa non può tradursi, pertanto, in una valutazione arbitraria, in quanto il giudice è chiamato a compiere un ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze che nel caso concreto abbiano potuto avere incidenza positiva o negativa sull’ammontare del pregiudizio e a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito a ciascuna di esse, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento” (Cass. 22272/2018)».
«Nella vicenda in esame la Corte di merito ha preso quale parametro di riferimento per la quantificazione del danno le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano per la liquidazione del cd. danno da lesione del rapporto parentale, nelle ipotesi in cui una persona sia vittima (o subisca gravi lesioni a causa) della condotta illecita di un terzo, precisando che tale criterio di partenza doveva subire gli opportuni adattamenti in ragione della particolarità della fattispecie».
«Questi adattamenti sono poi stati poi individuati, in termini favorevoli alla danneggiata, nella sofferenza morale e psichica subita da quest’ultima per essere vissuta senza l’apporto del sostegno economico e morale da parte della figura paterna, e in termini favorevoli al danneggiante, nella sua peculiare situazione economica nonché nel fatto che la perdita del rapporto parentale non aveva carattere definitivo».
«Il bilanciamento di queste circostanze, di valenza opposta, ha condotto la Corte di merito ad applicare una decurtazione del 75% sull’importo minimo previsto dalle tabelle di riferimento».
«Ma una simile modalità di liquidazione del danno costituisce una patente violazione dell’art. 1226 c.c.».
«Invero, i giudici distrettuali non hanno affatto individuato i fattori di probabile incidenza di essi sul danno, apprezzando circostanze idonee a incidere, in termini positivi o negativi, sull’ammontare del pregiudizio ma, dopo aver fatto un riferimento del tutto generico alla sofferenza subita dalla danneggiata per essere vissuta senza l’apporto paterno, hanno ritenuto di valorizzare, da una parte, le condizioni economiche del danneggiante, che non costituivano certo un fattore di incidenza sull’entità del danno non patrimoniale arrecato, e dall’altra la perdita non definitiva del rapporto parentale, pur avendo riconosciuto in precedenza che il padre era stato “totalmente assente” nella vita della figlia».
«Una simile valutazione, equivalente a una sostanziale svalutazione – se non vanificazione – del danno pur accertato nell’an, costituisce un apprezzamento che omette di tenere conto di specifiche circostanze del caso concreto con incidenza ablativa del danno; valorizza, per contro, circostanze prive di incidenza negativa sull’ammontare del pregiudizio e si pone per di più in contrasto rispetto agli accertamenti compiuti, risultando così irragionevole».
La sentenza viene pertanto cassata in relazioni ai motivi ritenuti fondati, e la causa rispedita alla corte d’appello di Salerno, che dovrà ad una nuova quantificazione del risarcimento dovuto a Francesca.