Come va calcolato il danno da riduzione della capacità lavorativa
Ciccio agisce davanti al tribunale di Verona nei confronti della società M e della compagnia di assicurazioni Genialloyd, per sentirle condannare al risarcimento del danno patrimoniale da riduzione di capacità lavorativa da lui patito a seguito del sinistro stradale in cui è stato coinvolto a causa della condotta illecita tenuta dal conducente di un autocarro di proprietà della società M.
A sostegno della pretesa, Ciccio deduce che le conseguenze derivanti dal sinistro (acufeni con ipoacusia destra), valutate, sotto il profilo medico legale, in un periodo di inabilita temporanea di 100 giorni, con postumi invalidanti a carattere permanente indicati nell’8% e una incapacità lavorativa specifica accertata, sono stati tali da determinare un demansionamento: dal ruolo di macchinista è stato immesso nelle funzioni di impiegato tecnico-amministrativo con conseguente rideterminazione, in peius, del relativo trattamento salariale.
Riconosciuta la corresponsione ante causam della somma di 90.000 euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale da parte di Genialloyd, Ciccio, in particolare, agisce per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla perdita di capacita lavorativa specifica, quantificato nella somma di euro 552.244,22.
Tale somma, successivamente rideterminata in 693.377,86 euro, comprende: a) il danno da lucro cessante, derivante dal mancato guadagno sofferto dalla data del sinistro alla data della citazione; b) il danno da lucro cessante futuro, derivante dal mancato guadagno sofferto successivamente all’avvio dell’azione, nonché comprensivo della riduzione dell’assegno pensionistico; c) il danno da perdita di chance; d) il danno emergente, derivante dalle spese giudiziali medio tempore sostenute.
Rimasta contumace la società M, si costituisce in giudizio la sola società Genialloyd, deducendo l’infondatezza delle pretese di Ciccio, in ragione della loro piena soddisfazione mediante la già corrisposta somma di 90.000 euro.
Il tribunale di Verona, in parziale accoglimento delle pretese attoree, condanna le parti convenute, in solido tra loro, alla corresponsione in favore di Ciccio della somma complessiva di 664.078,97 euro, comprensiva del danno da lucro cessante, passato e futuro, e del danno emergente derivante dalle spese processuali sostenute; respinge, invece, la domanda di risarcimento da perdita di chance, ritenendo non raggiunta la prova in giudizio, e la domanda di risarcimento del danno futuro per riduzione dell’assegno pensionistico, in quanto domanda nuova.
Avverso tale sentenza propone appello la Genialloyd, deducendo la erroneità della base di calcolo (valore medio mensile della perdita di retribuzione patita dal danneggiato) presa in considerazione dal tribunale ai fini della quantificazione del danno emergente, sia passato che futuro.
In particolare, l’appellante sostiene che tale base di calcolo — quantomeno a partire dalla data di verificazione del sinistro, ovvero dalla data in cui Ciccio ha subito il demansionamento — avrebbe dovuto essere comprensiva solo della parte fissa del salario (costituita dal minimo contrattuale, dagli aumenti periodici di anzianità, del salario professionale, dell’elemento distinto di retribuzione), non anche di quelle componenti accessorie che, avendo natura e funzione indennitarie e cioè compensativa della “maggiore penosità e gravosità del lavoro da svolgere”, possono essere corrisposte solo in caso di effettivo svolgimento delle relative prestazioni (lavoro notturno, lavoro straordinario, allontanamento dalla residenza, etc.).
Nel contraddittorio con l’appellato, la corte d’appello di Venezia, con sentenza resa pubblica il 18 marzo 2021, in parziale accoglimento del gravame, condanna Ciccio a restituire a Genialloyd la somma di 288.707,10 euro, ponendo invece a carico di quest’ultima le spese di lite, che liquida in favore di Ciccio.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre Ciccio, affidando le sorti dell’impugnazione a quattro motivi. Resiste con controricorso la società Allianz Direct, già Genialloyd.
La terza sezione civile della corte decide con ordinanza n. 1607 del 16 gennaio 2024.
Viene ritenuto fondato il primo motivo di ricorso:
«Giova premettere che il principio (essenziale nel sistema della responsabilità civile) di integralità del risarcimento, enucleabile dall’art. 1223 c.c. e applicabile in ambito extracontrattuale mediante il rinvio contenuto nell’art. 2056 c.c., impone di ristorare la parte danneggiata da tutte le conseguenze pregiudizievoli ad essa derivanti dall’illecito, indipendentemente dal fatto che tali conseguenze si siano verificate immediatamente ovvero spiegheranno la loro forza lesiva, con certezza (processuale), in futuro».
«Nell’ambito del risarcimento del danno da perdita di capacita lavorativa subita dal danneggiato-lavoratore in conseguenza degli effetti negativi prodotti dall’illecito, questa Corte ha affermato che, laddove il danneggiato dimostri di avere perduto un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui era titolare, a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate, salvo che il responsabile alleghi e dimostri che egli abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, nel qual caso il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione (Cass. n. 28071/2020;Cass. n. 14241/2023)».
«Le situazioni prese in considerazione dal principio di diritto sopra richiamato sono due e ineriscono, in particolare, sia al caso in cui a causa delle conseguenze dell’illecito il danneggiato abbia perduto l’attività lavorativa esercitata, sia al diverso caso in cui il danneggiato, impossibilitato a svolgere la precedente attività lavorativa, abbia comunque trovato impiego aliunde».
«In entrambi i casi, tuttavia, il principio di integralità del risarcimento è affermato dalla Corte con la medesima forza».
«Nel primo caso, il danneggiato ha diritto alla integralità della retribuzione che avrebbe potuto ragionevolmente percepire se avesse proseguito nella sua attività lavorativa».
«Nel secondo, il danneggiato ha diritto alla (eventuale) differenza tra le retribuzioni spettanti alla luce della attività lavorativa perduta (a causa dell’illecito) e quella corrisposta in ragione della nuova attività lavorativa; reimpiego che il danneggiato è stato costretto a cercare per effetto della perdita della precedente attività».
«Tali considerazioni non possono che essere estese, per identità di ratio, anche al caso oggetto del presente giudizio, ove l’attore ha subito una riduzione del trattamento retributivo in conseguenza del demansionamento disposto da Trenitalia S.p.A. per effetto della accertata incapacità a svolgere le funzioni di macchinista a causa delle lesioni subite dall’illecito».
«Gli effetti del demansionamento, cioè l’adeguamento in peius del trattamento retributivo, rientrano tra le conseguenze “dirette” dell’illecito, benché future (ma certe), e che, come tali, devono essere valutate ai fini della quantificazione del risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1223 e 2056, c.c.».
«In assenza delle conseguenze lesive riportate a causa dell’incidente stradale cagionato dall’illecita condotta altrui, infatti, il Ci.Ra. avrebbe con certezza proseguito nella sua attività lavorativa di macchinista e continuato a percepire la maggiore retribuzione corrispondente alla qualifica professionale per la quale era stato assunto».
«Se, dunque, il risarcimento in sede civile svolge una funzione tendenzialmente compensativa – riportando il patrimonio del danneggiato nella medesima curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato in assenza delle conseguenze derivanti dall’illecito – non si può non riconoscere, nel caso di specie, il diritto del Ci. Ra. alla differenza sussistente tra la retribuzione percepita quando ricopriva l’incarico di macchinista e la retribuzione percipienda in qualità di funzionario amministrativo».
« Ciò posto, affinché il principio di integralità del risarcimento possa dirsi effettivo, non si può non precisare come l’ampiezza della retribuzione media (dell’attività lavorativa precedentemente svolta) e che costituisce la base di calcolo per la determinazione del danno futuro da perdita – nel nostro caso, “riduzione” – della capacita lavorativa, deve essere tale da comprendere non solo la componente fissa della retribuzione, ma anche tutti i relativi accessori e i probabili aumenti retributivi (cfr. la citata Cass. n. 28071/2020)».
«La determinazione del danno futuro, infatti, essendo un danno, sì accertato in giudizio, ma che spiegherà i propri effetti lesivi in un secondo momento, non può che essere effettuata in via prognostica».
«Attraverso un giudizio ex ante, dunque, il giudice del merito deve riportarsi mentalmente nelle circostanze concrete in cui versava il Ci. Ra. prima dell’illecito per poter arrivare alla conclusione che, in assenza di esso, avrebbe continuato a percepire la retribuzione corrispondente non solo agli “elementi retributivi fissi”, ma anche alle “componenti accessorie” (cosi denominate dalla sentenza impugnata a p. 10)».
«Ha, dunque, errato la Corte territoriale là dove ha affermato che la parte di retribuzione avente ad oggetto le componenti accessorie non avrebbe potuto costituire oggetto di liquidazione del danno futuro; e ciò, “proprio perché sono dirette a compensare tale maggiore penosità del lavoro esse presuppongono la prestazione effettiva del lavoro straordinario notturno, festivo o di altro genere, comunque correlato a speciali attività connesse alla funzione rivestita” (p. 12 sentenza di appello)».
«La Corte territoriale ha, infatti, genericamente ricondotto l’intera categoria delle “componenti accessorie” della retribuzione al diverso ambito delle prestazioni che sono solo occasionalmente ed eccezionalmente prestate dal lavoratore in occasione di turni di lavoro straordinari o effettuati durante i giorni di riposo; soltanto in quest’ultimo caso, là dove vengano in rilievo prestazioni il cui espletamento è condizionato dal discrezionale potere direttivo del datore di lavoro, la retribuzione non può costituire oggetto, da parte del lavoratore, di alcuna pretesa essendo la stessa condizionata all’effettivo svolgimento di quella prestazione (Cass. n. 20801/2006)».
«Tuttavia, il giudice di appello avrebbe dovuto tenere conto della specifica “natura” delle mansioni proprie della figura professionale del macchinista e in forza di questa premessa individuare tutte le “componenti accessorie del salario” che – come anche qualificate dalla CTU espletata nel corso di giudizio (cfr. p. 10 della sentenza di appello) – erano “competenze strettamente collegate alla mansione svolta dal ricorrente (…) erogate per i mesi in cui vi è stata prestazione lavorativa (…)”».
«In altri termini, la Corte territoriale, al fine di pervenire al risarcimento integrale del danno patito dal Ci. Ra., avrebbe dovuto tenere conto delle specifiche mansioni di inquadramento professionale del macchinista e scindere le componenti accessorie della retribuzione (fissa) correlate a prestazioni soltanto occasionali e derogatorie rispetto all’ordinario svolgimento di quelle mansioni dalle componenti accessorie della retribuzione (fissa) che, invece, essendo intimamente connaturate a quella particolare prestazione lavorativa, non sono da essa scorporabili».
Ritenuti assorbiti gli altri motivi, la corte cassa quindi la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla corte d’appello di Venezia in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.