L’assicurazione paga anche se l’investimento è volontario
Mentre cammina in una via cittadina, Emilia viene affiancata da una vettura condotta da Marcello, il quale, dopo averla inseguita con l’auto, insultandola e minacciandola, la raggiunge in un campo arato, la travolge con l’auto, e, mentre è intrappolata sotto di essa, la colpisce con calci al volto.
Emilia e i figli agiscono davanti al tribunale di Urbino nei confronti dell’investitore (probabilmente marito o ex marito della prima e padre dei secondi) e della società assicuratrice della responsabilità civile derivante dalla circolazione dell’autoveicolo, allo scopo di ottenere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’investimento.
La pretesa viene accolta dal tribunale solo nei confronti di Marcello, con statuizione confermata in appello dalla corte d’appello di Ancona.
I giudici di merito ritengono che la società assicuratrice debba essere «esonerata da ogni obbligo assicurativo», in quanto l’investimento era avvenuto «in area non adibita a pubblico transito, pertanto estranea alla circolazione stradale cui fa espresso riferimento l’articolo 2054 cod. civ.», giacché «per valutare se un luogo possa essere o meno considerato deputato alla circolazione veicolare», ciò «che costituisce presupposto dell’operatività dell’obbligo assicurativo, occorre verificare se lo stesso sia soggetto al traffico di mezzi finalizzato alla fruizione di un’oggettiva destinazione dell’area, caratteristiche che indubbiamente non è dato riscontrare nella zona ove è avvenuto l’investimento di cui trattasi non essendo la stessa aperta all’uso pubblico ed ordinariamente adibita a transito veicolare».
Gli appellanti insoddisfatti propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi, sul quale si pronuncia la terza sezione civile della corte di cassazione con sentenza numero 10394 del 17 aprile 2024.
Il ricorso viene accolto, sulla base delle ragioni così illustrate nella sentenza:
«deve rilevarsi che – dopo l’intervento delle Sezioni Unite del 2021 – non è più sostenibile, come invece affermato dalla sentenza impugnata, che l’investimento di cui fu vittima R.E. non rilevi, ai fini dell’esercizio dell’azione diretta contro l’assicuratore, perché avvenuto in un campo arato, trattandosi di area non “aperta all’uso pubblico”, ciò che impedirebbe di ritenerla “ordinariamente adibita a transito veicolare”. Il Supremo Collegio, infatti, ha sancito “l’irrilevanza della natura pubblica o privata dell’area di circolazione”, nonché “del tipo di uso” che del mezzo si faccia, sicché è “l’utilizzazione del veicolo in modo conforme alla sua funzione abituale ad assumere fondamentale rilievo costituendo, in luogo di quello del «numero indeterminato di persone», il criterio di equiparazione alle strade di uso pubblico di ogni altra area o spazio ove sia avvenuto il sinistro” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 30 luglio 2021, n. 21983, Rv. 661872-01)».
«L’ammissibilità della pretesa risarcitoria azionata dal danneggiato verso l’assicuratore del responsabile risulta, dunque, subordinata alla sola condizione che l’uso del veicolo – qualunque esso sia – “rientri nelle caratteristiche del veicolo medesimo”, sicché, in tale prospettiva, viene in rilievo la questione oggetto del secondo motivo, ovvero se l’uso intenzionale dello stesso, per arrecare danno, possa dirsi riconducibile a tale paradigma».
«Orbene, questa Corte, richiamandosi alla già citata sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 4 settembre 2014, in C-162/2013 (secondo cui, ai sensi della normativa europea, “rientra nella nozione di circolazione dei veicoli qualunque uso che sia conforme alla funzione abituale dello stesso”), ha osservato, con riferimento all’impiego di un veicolo sostanziatosi nell’investimento reiterato della “malcapitata vittima, nell’intento deliberato di ferirla o di ucciderla”, che di “circolazione comunque si trattava”, e ciò perché “l’’ncidente risulta comunque determinato dal movimento di un’automobile, sia pure in modo improprio rispetto alla sua natura di mezzo di trasporto” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 3 agosto 2017, n. 19368, Rv. 645383-01)».
«Su tali basi, dunque, si è affermato che, “in nome dell’esigenza di tutela primaria del soggetto danneggiato – esigenza che è a fondamento dell’intero sistema della responsabilità civile autoveicoli, tanto che il Fondo di garanzia per le vittime della strada è tenuto a coprire anche il danno causato da veicolo non assicurato – il contratto di assicurazione viene, in un certo senso, a scindersi”; esso “opera in favore del terzo danneggiato che ha diritto di ottenere dall’assicuratore del responsabile il risarcimento del danno”, mentre “non opera in favore dell’assicurato danneggiante, contro il quale l’assicuratore avrà il diritto di regresso, come se il contratto in realtà non ci fosse” (così, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. n. 19368 del 2017, cit.)».
La sentenza impugnata viene dunque cassata, con rinvio alla corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, per la decisione sul merito, oltre che sulle spese di lite, ivi comprese quelle del giudizio di legittimità, alla luce del seguente principio di diritto:
«in tema di assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore, la garanzia assicurativa copre, nei soli confronti del danneggiato e non pure del responsabile, anche il danno dolosamente provocato da quest’ultimo, risultando irrilevante pure la circostanza che l’area di circolazione non risulti ordinariamente adibita a transito veicolare, purché l’utilizzazione del veicolo sia conforme alla sua funzione abituale, ciò che accade allorché il danno sia determinato dal movimento del veicolo, sia pure in modo improprio rispetto alla sua natura di mezzo di trasporto».