Caparra confirmatoria e risarcimento del danno da inadempimento
Con atto di citazione notificato il 23 dicembre 2011 Valentino conviene davanti al tribunale di Brescia la società C. Chiede che sia pronunciata la risoluzione del contratto preliminare di compravendita concluso tra le parti nel 2008, avente ad oggetto un’unità abitativa posta all’interno di un complesso residenziale in corso di costruzione, per il prezzo complessivo di 157.000 euro più IVA.
A fondamento della domanda allega l’inadempimento imputabile alla promittente alienante all’obbligo principale di consegna dell’immobile nonché agli obblighi di rilascio della fideiussione e di accatastamento del cespite. Sollecita la condanna della alla restituzione della somma versata in esecuzione dell’accordo contrattuale, per l’importo di 138.778 euro, al risarcimento del danno per i maggiori interessi corrisposti alla Cassa di Risparmio di Cesena sul contratto di prefinanziamento, dal 30 settembre 2011, per l’importo di 8.891,75 euro, e al pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata di 32.656 euro.
Nel costituirsi in giudizio, la società C chiede il rigetto delle domande avversarie e, in via riconvenzionale, che sia pronunciata l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, con la condanna del promissario acquirente al pagamento del saldo del prezzo di 23.550 euro più IVA.
Nel corso del giudizio erano disattese le istanze istruttorie avanzate.
Con sentenza depositata il 26 marzo 2015 il tribunale adito rigetta le domande di Valentino, considerata la mancata previsione di un termine essenziale per la consegna dell’immobile, e accoglie la domanda riconvenzionale di esecuzione specifica del preliminare.
Con atto di citazione notificato il 3 giugno 2015 Valentino propone appello avverso la sentenza di primo grado, lamentando: 1) l’erroneo rigetto della domanda di risoluzione del preliminare per inadempimento della promittente venditrice e di risarcimento del danno, stante che, pur in presenza di un termine non essenziale, era comunque ravvisabile un inadempimento di non scarsa importanza, in quanto il ritardo imputabile al debitore aveva superato ogni ragionevole limite di tolleranza, né mai era stata consegnata una nuova fideiussione; 2) l’erroneo accoglimento della domanda riconvenzionale di esecuzione specifica del preliminare, in difetto di alcun inadempimento ascrivibile al promissario acquirente, che legittimamente aveva sospeso l’adempimento della propria obbligazione a fronte del plateale inadempimento della promittente venditrice; 3) la non congruente regolamentazione delle spese di lite.
La società C si costituisce nel giudizio di impugnazione chiedendo il rigetto del gravame e la conseguente conferma della sentenza appellata.
Decidendo sul gravame interposto, la corte d’appello di Brescia accoglie l’appello di Valentino e, in integrale riforma della pronuncia impugnata, dichiara la risoluzione del contratto preliminare stipulato tra le parti per inadempimento della società C e condanna quest’ultima al pagamento, in favore di Valentino, della somma di 177.613,31 euro, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.
Avverso la sentenza d’appello la società C propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Valentino resiste con controricorso.
La seconda sezione civile della corte di cassazione decide con ordinanza n. 5854 del 5 marzo 2024.
La corte disattende il primo motivo, accogliendo però il secondo:
«Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1385 c.c., per avere la Corte territoriale accolto la domanda ordinaria di risoluzione per inadempimento della promittente alienante ai sensi dell’art. 1453 c.c. e disposto contestualmente, oltre alla restituzione delle somme versate a titolo di acconto sul prezzo, ivi compreso l’importo corrisposto a titolo di caparra confirmatoria, il risarcimento dei danni e il pagamento del doppio della caparra confirmatoria stessa (ossia di un ulteriore importo oltre a quello già incluso nella restituzione)».
«Infatti, secondo l’assunto dell’attore, nell’importo rivendicato a titolo restitutorio per euro 138.778,00 già rientrava la caparra di euro 31.400,00, oltre IVA».
«Senonché, a fronte della pronuncia costitutiva di risoluzione e di condanna al risarcimento del danno, non sarebbe stata compatibile la richiesta di pagamento del doppio della caparra confirmatoria, essendo i due istituti alternativi e non cumulabili, con la conseguenza che, in ragione della pronuncia della risoluzione del contratto, non avrebbe potuto essere disposta la condanna della parte inadempiente a pagare, pur in assenza di prova dei danni, il doppio della caparra ricevuta».
«Il motivo è fondato. In proposito, a fronte dell’esercizio dell’ordinaria domanda di risoluzione del preliminare di vendita, con la rivendicazione di una pronuncia costitutiva, nonostante la pattuizione di una caparra confirmatoria ex art. 1385, terzo comma, c.c., non avrebbe potuto essere riconosciuta la condanna al pagamento del doppio della caparra, oltre alla restituzione della somma versata a tale titolo, senza la dimostrazione del nocumento patito».
«E, nella fattispecie, la condanna del promittente alienante alla restituzione delle somme corrisposte dal promissario acquirente a titolo di anticipo del prezzo complessivo di vendita – somme comprensive della originaria dazione della caparra confirmatoria –, con l’ulteriore condanna al pagamento della somma versata a titolo di caparra confirmatoria, integra, a tutti gli effetti, l’ipotesi della disposizione della esazione del suo doppio ex art. 1385, secondo comma, secondo periodo, c.c.».
«Ora, la domanda diretta ad ottenere la “dichiarazione” della risoluzione presuppone l’esercizio dell’opzione contemplata dall’art. 1385, terzo comma, c.c., ossia della volontà di ottenere la pronuncia costitutiva della risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c., con il conseguente risarcimento del danno regolato dalle norme generali, come tale rimesso alla determinazione dell’autorità giudiziaria e subordinato alla dimostrazione dell’an e del quantum debeatur».
«E tanto perché l’esercizio del potere di recesso conferito ex lege è indifferibilmente [sic] collegato (fino a costituirne un precipitato) alla volontà di avvalersi della (sola) caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c., che ha la funzione di liquidare convenzionalmente il danno da inadempimento in favore della parte non inadempiente (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20532 del 29/09/2020; Sez. 2, Sentenza n. 8417 del 27/04/2016; Sez. 2, Sentenza n. 17923 del 23/08/2007)».
«Cosicché una domanda di recesso, ancorché non formalmente proposta nei termini di esercizio del recesso, può ritenersi egualmente, anche se implicitamente, avanzata in causa dalla parte adempiente, quando la stessa abbia richiesto la condanna della controparte, la cui inadempienza sia stata dedotta quale ragione giustificativa della pronunzia di risoluzione del contratto, alla restituzione del doppio della caparra a suo tempo corrisposta, quale unica ed esaustiva sanzione risarcitoria di tale inadempienza (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22657 del 27/09/2017; Sez. 2, Sentenza n. 2032 del 01/03/1994)».
«Viceversa, va qualificata in termini di declaratoria di risoluzione giudiziale per inadempimento – soggetta, pertanto, alla relativa disciplina generale –, e non quale esercizio del diritto potestativo di recesso, la domanda con cui la parte non inadempiente, che abbia corrisposto la caparra, chieda, oltre alla risoluzione del contratto, la condanna della controparte al pagamento del doppio della caparra versata e il ristoro degli ulteriori danni asseritamente patiti (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 32727 del 24/11/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 21504 del 07/07/2022; Sez. 2, Sentenza n. 20957 del 08/09/2017; Sez. 3, Sentenza n. 18850 del 20/09/2004; Sez. 2, Sentenza n. 1301 del 29/01/2003)».
«Alla stregua della predetta ricostruzione, la parte non inadempiente non può, in tal caso (ossia ove abbia preteso il risarcimento del danno ulteriore), pretendere il pagamento del doppio della caparra, poiché, in questa evenienza, essa perde la sua funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21085 del 04/07/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 40292 del 15/12/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 21559 del 07/10/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 25146 del 08/10/2019; Sez. 2, Sentenza n. 8571 del 27/03/2019; Sez. 6-2, Ordinanza n. 24824 del 09/10/2018)».
«Ora, in ordine all’interpretazione del giudice di merito relativa alla natura dell’azione spiegata, la richiesta formulata in termini di domanda dichiarativa di risoluzione, con l’aggiuntiva pretesa di ricevere il doppio della caparra versata e di ottenere il risarcimento dell’ulteriore danno arrecato, è stata correttamente qualificata, avendo riguardo non solo al nomen iuris utilizzato dalla parte nell’introdurre l’azione caducatoria degli effetti del contratto (ossia volta ad ottenere lo scioglimento del rapporto), ma anche alla stregua della connessa domanda di risarcimento dei danni ulteriori, quale pronuncia costitutiva di risoluzione giudiziale, il che inibiva il riconoscimento del doppio della caparra, in assenza della prova di uno specifico pregiudizio».
[…]
«La sentenza impugnata va dunque cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al seguente principio di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
“A fronte della proposizione e dell’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, con il conseguente risarcimento dei danni, non può essere riconosciuta – in aggiunta – la restituzione del doppio della caparra confirmatoria, indipendentemente dalla prova del danno”».