L’assenza di colpa del danneggiato non è elemento costitutivo della responsabilità da cose in custodia
Il 14 gennaio 2001 Carlo Alberto percorre una strada cittadina a bordo di un motociclo, quando finisce con la ruota anteriore in una depressione del manto stradale di circa otto centimetri di profondità, perdendo così il controllo del mezzo e impattando col fianco destro della moto contro un palo della pubblica illuminazione. Muore in conseguenza dell’urto.
I due figli e la moglie di Carlo Alberto agiscono nei confronti del Comune per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al decesso del loro congiunto.
Il tribunale adito rigetta la domanda, con sentenza confermata dalla corte d’appello di Salerno.
Contro la sentenza di appello insorgono gli appellanti soccombenti, che propongono ricorso per cassazione fondato su due motivi.
Riferiscono che: l’adito tribunale ha rigettato la domanda sul rilievo che la condotta imprudente di Carlo Alberto – il quale non aveva rispettato il limite di velocità, né osservato le regole di comune prudenza (stante sia le condizioni metereologiche caratterizzate da forte vento, che l’orario notturno), non facendo neppure uso di un casco conforme alla normativa di sicurezza, avendone indossato uno c.d. “a scodella” – ha avuto un’incidenza causale esclusiva nella produzione dell’evento, tale da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno; la decisione è stata confermata dal giudice d’appello, il quale ha ribadito che la condotta del danneggiato ha interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno, non essendo stato fornito alcun elemento idoneo a ritenere provata una condotta di guida della vittima diligente e prudente. Trattandosi, inoltre, di strada ben illuminata, ove il danneggiato si fosse attenuto alle regole di comune prudenza, in mancanza di insidia o trabocchetto, avrebbe certamente potuto evitare il sinistro.
Denunciano: col primo motivo, la violazione dell’art. 2051 del codice civile, in relazione alla responsabilità dell’ente e al diritto al risarcimento del danno; col secondo, violazione e falsa applicazione del medesimo articolo, deducendo “nullità della sentenza nella parte in cui ritiene che il Comune avrebbe dimostrato l’esistenza del caso fortuito sufficiente ad escludere la sua responsabilità nella causazione del sinistro”, nonché “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio” e “difetto di prova”.
Il Comune resiste con controricorso all’avversa impugnazione, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La terza sezione civile della corte di cassazione decide con ordinanza numero 18518 dell’8 luglio 2024.
Viene accolto il secondo motivo, che a detta della corte ha carattere assorbente:
«Sull’ormai indiscusso presupposto della natura oggettiva della responsabilità del custode e della ontologica distinzione tra caso fortuito e fatto del danneggiato o del terzo, salva l’omogeneità delle ricadute “funzionali” sul piano della responsabilità e del risarcimento (per tutte, Cass. Sez. 3, sent. 27 aprile 2023, n. 11152, e successive conformi), è stato, ancora di recente, ribadito da questa Corte che il requisito legale “della rilevanza causale del fatto del danneggiato è la colpa, intesa come oggettiva inosservanza del comportamento di normale cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza”, e ciò perché , mentre “al pari della concausa naturale, il fatto non colposo del danneggiato non incide sul risarcimento, al contrario il fatto colposo ne comporta la riduzione, secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 23 maggio 2023, n. 14228, Rv. 667836-02).
Da quanto precede deriva che “presupposti della responsabilità per i danni da cose in custodia, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., sono la derivazione del danno dalla cosa e la custodia”, sicché essi, “in quanto elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità speciale, ex art. 2051 cod. civ., devono essere provati dal danneggiato” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 7 settembre 2023, n. 26142, Rv. 669110-01). “Incombe, invece, sul custode”, si è del pari ribadito, “la prova (liberatoria) della sussistenza del «caso fortuito», quale fatto (impeditivo del diritto al risarcimento) che esclude la derivazione del danno dalla cosa custodita”, da intendersi quale “fatto diverso dal fatto della cosa, estraneo alla relazione custodiale, che assorbe in sé l’efficienza causale dell’evento dannoso, escludendo che esso possa reputarsi cagionato dalla res” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 26142 del 2023, cit.). La caratterizzazione oggettiva della nozione di “caso fortuito”, diversa da quella tradizionale che lo identificava con l’assenza di colpa (casus=non culpa), trova fondamento nell’orientamento, consolidatosi già da diversi anni nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. 3, ord. 1° febbraio 2018, nn. 2477, 2478, 2479, 2480, 2481, 2482 e 2483), nonché suggellato dal suo massimo consesso (Cass. Sez. Un., sent. 30 giugno 2022, n. 20943, Rv. 665084- 01), oltre che di recente ulteriormente ribadito (Cass. Sez. 3, sent. n. 11152 del 2023, cit.), “secondo il quale la responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. ha natura di responsabilità oggettiva, la quale prescinde da ogni connotato di colpa, sia pure presunta, talché è sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore della derivazione del danno dalla cosa, nonché del rapporto di fatto custodiale tra la cosa medesima e il soggetto individuato come responsabile” (cfr., ancora una volta, Cass. Sez. 3, sent. n. 26142 del 2023, cit.).
Se, dunque, “la colpa del custode non integra un elemento costitutivo della sua responsabilità, la prova liberatoria che egli è onerato di dare, nell’ipotesi in cui il danneggiato abbia dimostrato il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, non può avere ad oggetto l’assenza di colpa (ovverosia, la posizione in essere, da parte sua, di una condotta conforme al modello di comportamento esigibile dall’homo eiusdem condicionis et professionis e allo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso), ma dovrà avere ad oggetto la sussistenza di un fatto (fortuito in senso stretto) o di un atto (del danneggiato o del terzo) che si pone esso stesso in relazione causale con l’evento di danno, caratterizzandosi, ai sensi dell’art. 41, secondo comma, primo periodo, cod. pen., come causa esclusiva di tale evento” (così, ancora una volta, Cass. Sez. 3, sent. n. 26142 del 2023, cit.).
Alla luce di tali principi, pertanto, erra gravemente la sentenza impugnata là dove addebita, a chi ha agito a norma dell’art. 2051 cod. civ. (ovvero, nella specie, ai congiunti della vittima del sinistro mortale), un onere probatorio gravante, invece, sul custode, affermando che parte attrice, “a fronte delle condizioni di luogo, strada percorsa di notte e con forte vento, non ha fornito alcun elemento idoneo a provare la condotta di guida diligente e prudente”.
Non è, infatti, il soggetto danneggiato – ricorrendo la fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ. – a dover provare la “diligenza e prudenza” (id est: l’assenza di colpa) nel relazionarsi con la “res” oggetto di custodia, non trattandosi di elemento costitutivo della fattispecie.
Né, in senso contrario, può sostenersi che la sentenza impugnata abbia individuato quale “caso fortuito” (e, dunque, quale autonoma “ratio decidendi”, per escludere l’applicazione dell’art. 2051 cod. civ.) le condizioni meteorologiche che caratterizzarono lo stato dei luoghi in occasione del sinistro. La Corte territoriale, infatti, ha dato rilievo alla presenza di “forte vento”, non per attribuirvi “ex se” – quale fatto naturalisticamente inteso – idoneità ad interrompere il nesso tra “res” custodita ed evento dannoso, appunto quale caso fortuito, ma sempre (e solo) quale elemento in base al quale apprezzare il contegno della vittima del sinistro e, dunque, per ribadire come, anche alla luce di tale dato, fosse mancata la dimostrazione di una condotta di guida conforme alla condizione del luogo del sinistro, nell’occasione della sua verificazione.
Il primo motivo resta assorbito dall’accoglimento del secondo.
In conclusione, il secondo motivo di ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata in relazione, rinviando alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, per la decisione sul merito e sulle spese (ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità), in applicazione del seguente principio di diritto: “in materia di responsabilità ex art. 2051 cod. civ., a carico del soggetto danneggiato sussiste l’onere di provare soltanto la derivazione del danno dalla cosa e la custodia della stessa da parte del preteso responsabile, non pure la propria assenza di colpa nel relazionarsi con essa”».