La validità della clausola claims made
Gian Piero, in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sulle due figlie minori, cita in giudizio davanti al tribunale di Padova un’azienda sanitaria locale, dalla quale pretende il risarcimento dei danni conseguiti a un episodio di malpractice medica della quale era stata vittima la moglie nonché madre delle figlie, dapprima caduta in uno stato vegetativo permanente all’esito di un intervento di parto cesareo e poi deceduta dopo otto anni.
L’azienda sanitaria resiste alla domanda risarcitoria e chiama in garanzia cinque società assicurative.
In accoglimento della domanda di Gian Piero, il tribunale condanna l’azienda sanitaria a risarcire il danno nella misura di 3.409.216 euro. Quanto alle domande di manleva, dichiara il difetto di legittimazione passiva di una delle compagnie assicurative, ritenendo che l’azienda sanitaria non avesse stipulato con essa alcun contratto di assicurazione, e rigettava le domande nei confronti delle altre compagnie ritenendo valida la clausola “claims made” che subordina, in ciascun contratto, la copertura assicurativa alla proposizione della prima richiesta di risarcimento del danno da parte del terzo nel periodo di vigenza del contratto, evenienza, nella specie, non verificatasi.
L’azienda sanitaria propone appello davanti alla corte d’appello di Venezia, per contestare sia la condanna al risarcimento del danno che il rigetto delle domande di manleva, dolendosi anche della condanna a rifondere le spese di lite sopportate da Fondiaria.
La corte d’appello conferma la condanna risarcitoria dell’appellante, pur riducendo riducendo il risarcimento liquidato e accoglie parzialmente il gravame in merito alle domande di manleva, condannando due delle cinque società assicuratrici al pagamento dell’indennizzo. Esito al quale perviene sul presupposto della nullità della clausola, presente nei contratti conclusi con le stesse, che subordina l’operatività della polizza all’avvenuta denuncia della richiesta del risarcimento del danno da parte del terzo in costanza di rapporto, trattandosi di clausola vessatoria (che avrebbe, come tale, richiesto la specifica approvazione per iscritto) ed essendo stata, comunque, apposta in violazione dell’articolo 2965 del codice civile, stabilendo una decadenza tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto all’indennizzo.
Avverso la sentenza di appello l’azienda sanitaria propone ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi.
Le compagnie assicuratrici resistono con controricorso, col quale quelle soccombenti in appello propongono altresì ricorso incidentale.
La terza sezione civile della corte decide con ordinanza 15 novembre 2024 n. 29483.
È di particolare interesse la parte dell’ordinanza nella quale la corte si pronuncia sulla validità della clausola claims made, contraddicendo quanto deciso dalla medesima sezione con ordinanza numero 8894/20 del 13 maggio 2020 (commentata qui):
«Non può, infatti, darsi seguito – perché rimasto del tutto isolato nella giurisprudenza di questa Corte – al principio, affermato dall’arresto di questa Corte (si tratta di Cass. Sez. 3, ord. 13 maggio 2020, n. 8894, Rv. 657843 – 01) al quale si è richiamata la sentenza impugnata, secondo cui deve ritenersi nulla, se non specificamente sottoscritta, la clausola “claims made”, ponendo a carico dell’assicurato un termine di decadenza per denunciare l’evento, la decorrenza del quale non dipende dalla sua volontà. Si tratta, infatti, di principio in contraddizione con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha evidenziato – cfr., in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 22 aprile 2022, n. 12908, Rv. 664813 – 01 – che, “di per sé dirimente”, risulta “quanto espressamente statuito in medias res” dalle Sezioni Unite nella sentenza del 6 maggio 2016, n. 9140, al par. 6.2., secondo cui “deve escludersi che la limitazione della copertura assicurativa alle “richieste di risarcimento presentate all’Assicurato, per la prima volta, durante il periodo di efficacia dell’assicurazione”, in relazione a fatti commessi nel medesimo lasso temporale o anche in epoca antecedente, ma comunque non prima di tre anni dalla data del suo perfezionamento, integri una decadenza convenzionale, soggetta ai limiti inderogabilmente fissati nella norma codicistica di cui si assume la violazione”, e ciò perché “l’istituto richiamato, implicando la perdita di un diritto per mancato esercizio dello stesso entro il periodo di tempo stabilito, va inequivocabilmente riferito a già esistenti situazioni soggettive attive nonché a condotte imposte, in vista del conseguimento di determinati risultati, a uno dei soggetti del rapporto nell’ambito del quale la decadenza è stata prevista”, mentre “la condizione racchiusa nella clausola in contestazione consente o preclude l’operatività della garanzia in dipendenza dell’iniziativa di un terzo estraneo al contratto, iniziativa che peraltro incide non sulla sorte di un già insorto diritto all’indennizzo, quanto piuttosto sulla nascita del diritto stesso”, con la conseguenza “che non v’è spazio per una verifica di compatibilità della clausola con il disposto dell’art. 2965 cod. civ.”.
Del pari, tale rilevata “diversità di piani, non comunicanti tra loro, in cui si collocano, rispettivamente, la clausola claims made e la disciplina recata dalla norma dell’art. 2965 cod. civ. è riaffermata, sebbene in modo implicito, ma senza equivoci, dalla successiva sentenza n. 22437/2018, sempre delle Sezioni Unite, la quale ha evidenziato, in armonia con il precedente approdo nomofilattico, che l’anzidetta clausola si configura come delimitativa dell’oggetto del contratto, “correlandosi l’insorgenza dell’indennizzo, e specularmente dell’obbligo di manleva, alla combinata ricorrenza della condotta del danneggiante (la vicenda storica determinativa delle ‘conseguenze patrimoniali’ di cui “l’assicurato intende traslare il rischio”: cioè, del ‘danno’) e della richiesta del danneggiato” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 12908 del 2022, cit.). Ne consegue, pertanto, che “non può essere affetta da nullità, ex art. 2965 c.c., la clausola claims made “perché fa dipendere la decadenza dalla scelta di un terzo”, giacché l’atteggiarsi della richiesta del terzo, quale evento futuro, imprevisto ed imprevedibile, è del tutto coerente con la struttura propria del contratto di assicurazione contro i danni (nel cui ambito, come detto, è da ricondursi la polizza con clausola claims made), in cui l’operatività della copertura deve dipendere da fatto non dell’assicurato” (Cass. Sez. 3, sent. n. 12908 del 2022, cit.; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, ord. 8 maggio 2024, n. 12462, Rv. 670901 – 01)».
La corte, in conclusione, rigetta il ricorso principale e accoglie quello incidentale.
La sentenza viene cassata con riferimento al motivo oggetto di quest’ultimo «con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, per la decisione sul merito – e sulle spese relative al solo rapporto processuale tra le predette società e l’ULSS, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità – in applicazione del seguente principio di diritto:
“la clausola “claims made” non integra una decadenza convenzionale, nulla ex art. 2965 cod. civ. nella misura in cui fa dipendere la perdita del diritto dalla scelta di un terzo, dal momento che la richiesta del danneggiato è fattore concorrente alla identificazione del rischio assicurato, consentendo pertanto di ricondurre tale tipologia di contratto al modello di assicurazione della responsabilità civile”.