La colpa generica del gestore autostradale
Due donne perdono la vita in un incidente stradale avvenuto sulla carreggiata Nord dell’autostrada individuata come A14. L’autovettura sulla quale viaggiavano viene tamponata da un altro veicolo. A seguito dell’urto esce di strada dopo aver invaso la banchina laterale erbosa per poi finire la propria corsa ribaltata nella sottostante scarpata.
La compagnia assicuratrice del proprietario del veicolo tamponante paga un risarcimento di 300.000 euro ai congiunti delle due vittime, poi agisce davanti al tribunale di Ancona nei confronti del gestore dell’autostrada, per ottenere il rimborso di quanto pagato.
Con sentenza pubblicata il 9 gennaio 2017 il tribunale, in parziale accoglimento della domanda, condanna il gestore al pagamento di 150.000 euro.
La sentenza viene confermata dalla corte d’appello di Ancona con sentenza pubblicata il 24 febbraio 2021, ribadendo che la presenza di una barriera protettiva laterale avrebbe permesso il contenimento del moto aberrante dell’autovettura sulla quale viaggiavano le vittime. Ciò avrebbe evitato l’esito mortale, e prima ancora il ribaltamento dell’autovettura a seguito della discesa lungo la scarpata, poiché l’impatto era avvenuto a una velocità di 70 km orari, rispetto alla quale il contenimento da parte di una barriera moderna «è assicurato».
La corte osserva altresì che nell’ambito della fattispecie ex art. 2051 codice civile, applicabile anche nei confronti del gestore stradale, la responsabilità di natura oggettiva, perché basata sul solo rilievo del nesso di causa tra la res e l’evento di danno, sussiste in presenza di una situazione di pericolo immanente connessa alla struttura o alla conformazione della strada o delle sue pertinenze e, quindi, prescindendo dall’accertamento del carattere colposo della condotta del custode. In questo contesto, sul custode gravava l’onere della prova del «caso fortuito», ossia che del fatto la situazione alla base del pregiudizio non si fosse determinata per un difetto di vigilanza della rete viaria: l’appellante non ha fornito la prova di aver espletato con la diligenza adeguata alla natura ed alla funzione della res «tutte le attività di controllo e di vigilanza su di esso incombenti per garantire una circolazione, per quanto possibile, sicura».
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il gestore autostradale, sulla base di due motivi. La compagnia assicuratrice resiste con controricorso.
La terza sezione civile della corte di cassazione, con ordinanza n. 882 del 14 gennaio 2025, giudica inammissibili entrambi i motivi di ricorso:
«La ricorrente assume che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto l’obbligo di apporre sul tratto autostradale le barriere di sicurezza previste dai DD.MM. 18.2.1992, n. 223 e 21.6.2004, n. 2367. Tali decreti, tuttavia, si applicano ai “progetti relativi alla costruzione di nuovi tronchi stradali” e “all’adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali, oppure nella ricostruzione e riqualificazione di tratti significativi di ponti e viadotti situati in posizione pericolosa per l’ambiente esterno alla strada e per l’utente stradale”. Inoltre, il D.M. 223/1992 si applica “alle domande di omologazione presentate successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso decreto”. Nessuna di tali ipotesi risulterebbe integrata nel caso esaminato dalla corte d’appello, né sarebbe stato effettuato al riguardo tale accertamento preliminare: l’obbligo di porre barriere di sicurezza sussiste solo in presenza di tratti di strade di nuova costruzione o di strade, realizzate antecedentemente, sottoposte a significative opere di adeguamento e rifacimento. Infatti, il tronco autostradale interessato dal sinistro era stato costruito nel 1969 e fino alla data dell’incidente non era stato sottoposto a significative opere di manutenzione straordinaria.
[…]
… la colpa del gestore autostradale può consistere sia nella violazione di norme prescrittive (colpa specifica), sia nella violazione delle regole di comune prudenza (colpa generica). Il formale rispetto delle prime non vale, dunque, ad escludere di per sé la possibilità della sussistenza d’una colpa generica del primo. Pertanto, la circostanza che per una determinata strada il D.M. n. 223 del 1992 non imponesse in astratto l’adozione di misure di sicurezza, non esimeva la ricorrente dal valutare in concreto sempre e comunque, ai sensi dell’articolo 14 Cod. strada, se quel tratto di autostrada potesse costituire un rischio per la sicurezza degli utenti […]
Si consideri, ancora, che se il citato D.M. n. 223 del 1992 si applica unicamente alle strade di nuova costruzione, sarebbe assurdo trarre da ciò la conseguenza che per le strade preesistenti l’ente proprietario, o il suo gestore, possa tranquillamente disinteressarsi della sicurezza degli utenti, ignorando la necessità di imporre l’adeguamento. Infatti, l’art. 14, comma primo, Cod. strada, allo scopo di garantire la sicurezza della circolazione, attribuisce specificatamente agli enti proprietari delle strade il compito di provvedere: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e delle relative pertinenze; c) alla posizione manutenzione della segnaletica prescritta. Obblighi, questi ultimi, posti a carico dei concessionari per le strade in concessione ai sensi del comma terzo della citata norma.
L’obbligo di vigilanza e controllo, e di adottare tutte le misure idonee per rendere innocua la cosa e non arrecare danno a terzi, che trova la propria fonte già in base al dovere generale del neminem laedere, a fortiori sussiste in ipotesi di responsabilità aggravata, come quella per la custodia ex art. 2051 c.c., che costituiscono espressione di maggior favore per il danneggiato in presenza di una situazione di rischio unilaterale in quanto solo una parte (il danneggiante potenziale) ha la capacità tecnologica di ridurre l’occorrenza o la gravità degli incidenti attesi […]
La Corte d’appello, dopo aver precisato come l’ambito del potere di controllo ricadente sul custode stradale non fosse limitato alla sola carreggiata, ma si estendeva anche agli elementi accessori o pertinenze, ivi comprese eventuali barriere laterali con funzione di contenimento e protezione della sede stradale […], ha ritenuto la ricorrente in colpa non per avere violato le prescrizioni del D.M. n. 223 del 1992 sulle barriere laterali, ma ha evidenziato, sulla base delle indicazioni della C.T.U. disposta in sede civile e di quella svolta in sede penale, che “l’installazione della barriera di sicurezza era, in ogni caso, una esigenza elementare di tutela della sicurezza stradale … con certezza si può affermare che, in base alla normativa in vigore al momento del sinistro … era indispensabile l’applicazione di una barriera omologata … non essendo riscontrabile, fra l’altro, un’obiettiva ragione per cui il guard-rail esistente fino alla chilometrica 216+648.20, da questo punto si interrompe in corrispondenza del pilastro di sostegno del cavalcavia … il guard-rail si interrompe in corrispondenza del cavalcavia lasciando scoperto un tratto fiancheggiato da una scarpata altamente pericolosa”. La Corte d’appello ha dunque accertato una colpa generica, non una colpa specifica, e nulla rileva se il D.M. n. 223 del 1992 imponesse o meno l’installazione di barriere nel luogo del sinistro. Tale specifico accertamento, si ripete in ordine alla sussistenza di una colpa generica, rende non pertinente il richiamo fatto dalla ricorrente a Cass. 6 maggio 2020, n. 8512, in quanto imperniata sul solo dato della costruzione della strada».